RAGAZZA NERA RAGAZZA BIANCA di Joyce Carol Oares
pubblicato da: Mirna - 3 Aprile, 2014 @ 7:12 amPerchè mi piace tanto Joyce Carol Oates? Perchè ogni cosa che racconta comprende la gamma completa dei sentimenti della vita di una persona, non solo i suoi personali, ma quelli di un’intera società che crede di aver analizzato razionalmente il proprio percorso, il proprio miglioramento mascherati da un effimero politacally correct . La Oates con quel suo particolare narrare non ci fa sfuggire nulla e ci mette sotto gli occhi il nascosto e l’irrisolto.
In questo suo magistrale romanzo del 2006, edito solo ora in Italia da Mondadori, la voce più importante della letteratura americana ci avvince e ci “spiazza” volutamente per farci riflettere.
E’ un romanzo sul razzismo? O sui sempre tortuosi rapporti familiari e di formazione personale? Tutto. Perchè nulla è semplice nella vita: nulla è bianco o nero.
Siamo nel 1975 in un college progressista dove la filosofia è proprio l’integrazione razziale. College fondato a suo tempo dall’antenato di Genna Meade, la dicottenne protagonista narrante. Genna è figlia di una coppia di ex hippy, cresciuta in una sorta di trascuratezza, mascherata da libertà , infarcita soprattutto dal padre strabordante  di alti ideali sui diritti civili.
In fondo Genna si è sempre sentita sola e spaventata dai genitori distanti e tutto ciò che ha assorbito è essere premurosa con i più deboli, con gli emarginati, soprattutto  con i neri.
E’ un caso che Jenna sia attratta immediatamente dalla sua compagna di stanza, Minette Swift, una ragazzza nera figlia di un pastore protestante?
La bravura della scrittrice per poter “scendere” nell’intimo del nostro vero sentire è presentarci una Minette Swift scostante, antipatica, bruttina che non cede alla richieste di Genna.
Che cosa vede Jenna in Minette? Senz’altro vorrebbe assorbire un po’ della sua famiglia attenta e unita inotorno a lei, offrire  una legittimazione al suo non essere “razzista” al padre odiato-amato .
Ma in questa sua insistenza nel volere conoscere pienamente una persona non c’è forse una forma di appropriazione e di “sfruttamento”?
La fragile Jenna, brava a scuola, figlia di genitori non “materni” invidia la sicurezza di Minette , la vuole fare sua.
Ma Minette non è sicura, vive male il suo inserimento alla Schuyler, questo prestigioso college di arti lberali, modello di integrazione. Perchè si sente vittima di molestie razziali…scritte offensive  sulla porta, dispetti verso i suoi oggetti e Jenna non riesce e non può aiutarla, osservatrice semi-passiva del suo malessere. Perchè Minette sa che essere neri sarà sempre percepito come stato di inferiorirà e aggredisce, si isola, per non essere ferita.
Il padre di Jenna aveva scritto  negli anni Sessanta ” ci sono delle distorsioni dovute alla coscienza di pelle: di come ciò che vediamo sia ampiamente determinato dalle strutture linguistiche all’interno delle quali nasciamo.”
L’anno scolastico alla Schuyler è per entrambe un anno importante e terribile: per Minette una sconfitta totale, per Jenna un periodo che la segnerà profondamente.Ne scriverà la storia per il suo senso di colpa verso Minette e  per far emergere dall’ombra quella figura paterna di cui, si capisce, non può fare a meno.
Che romanzo!
Scrive Massimiliano Parente: “È questa la delicata e spietata grandezza di “Ragazza bianca ragazza nera”: come lettori siamo colpevoli anche noi, e ci troviamo di punto in bianco all’interno di una rappresentazione inedita dell’osceno: il nostro stesso sentimento. Un osceno dalla Oates ribaltato rispetto alla definizione classica di invisibilità , di essere appunto fuori dalla scena e fuori dalla pornografia (che rappresenta, al contrario, l’eccesso del visibile). Un osceno che diventa «ciò che, nell’istante in cui lo vedi, non puoi non averlo visto. E continuerai a vederlo. E continuerai a vederlo anche se ti cavano gli occhi».
Un magnifico romanzo antirazzista e per niente retorico che, volendo, sarebbe pure la scusa buona per un meritato Nobel. Meditate, svedesi, meditate.”
VIVALDI E IL SEGRETO DEL NUOVO MONDO di Dario Piccotti e Alvaro Torchio
pubblicato da: Mirna - 31 Marzo, 2014 @ 8:18 am Sempre piacevolissimo e interessante incontrare Alvaro Torchio al Controvento.
Lo sentiamo amico per la sua riservata e attenta spontaneità verso tutti noi  e per la passione intensa di scrittore e poeta che ci trasmette.
Già lo conoscemmo quando ci presentò Marx & Hengels, investigatori, quattro racconti di lettura interessantissima che ci hanno fatto conoscere aspetti del carattere dei due famosi storici-sociologi  impegnati in divertenti storie thriller. (v. mio archivio).
Anche in questo avvincente romanzo c’è una parte “gialla” che collega eventi che partono dalle crociate per passare attraverso i progetti di riscatto sociale da attuarsi in America Latina per giungere infine  nella magica Venezia dove vive e insegna Vivaldi fra vari intrighi e amori per le sue “putte”.
Raffaella ci presenta a grandi linee questo libro scritto a due mani da Piccotti e Torchio, insegnanti di materie letterarie, studiosi di politica, filosofia, sociologia, sensibili alle problematiche sociali. Piccotti ci regala pure, da musicista, verosimili partiture apocrife di Vivaldi.
“Tutto comincia con il rinvenimento di un vangelo apocrifo; siamo nel 1204 a Costantinopoli,
Durante il saccheggio della città ad opera dei crociati veneziani sul tavolo di padre Correr cade un libriccino: “Parola di Giacomo, fratello del Signoreâ€. Un thriller storico racconta le avventure di questo Vangelo che promette imminente la creazione del Regno di Dio sulla terra. Di mano in mano attraverso i secoli , finisce nelle mani dei gesuiti missionari nell’America Latina, più precisamente nel Paraguay. Avventure ed intrighi sono però ambientati in gran parte a Venezia e ne diventa protagonista il grande musicista Antonio Vivaldi. Da impresario teatrale si arricchisce, fallisce, rinasce con grinta maggiore. Da prete (“rosso†è il suo soprannome) esentato dal celebrare la messa, si dedica ai piaceri della gola e del sesso. Nel “Libro†si imbatte senza volerlo e ad esso si ispira in alcune composizioni. Ma per il Libro rischierà la vita. Un romanzo storico, accurato nei dettagli e thriller accattivante.”
Ciò che mi colpisce è la minuziosità del racconto, certamente un lavoro impegnativo per i due scrittori fatto di ricerche e di studio. Incontriamo personaggi storici come Savonarola, seguiamo gli impegni della congregazione dei Gesuiti in difesa del popolo dei Guaranì e tanto altro. E poi c’è la Venezia del Settecento con il suo fascino magico dove si aggira Antonio Vivaldi tra l’Ospedale della Pietà e le calli e i campielli.
Da leggere con tranquillità perchè il piacere per la lettura va centellinato e certamente Vivaldi e il segreto del nuovo mondo ci regala precise coordinate storiche e spaziali, suggestive possibilità , mistero,  ma soprattutto riflessioni importanti .
Alvaro lo ritiene soprattutto un romanzo storico, ma la componente ironica e “gialla” a cui i due autori ci hanno abituato non manca mai.
“Dario Piccotti e Alvaro Torchio se la cavano con passione ed onestà “artigiana†in un romanzo-cartina di tornasole che li conferma coppia autoriale tra le più affidabili del giallo a intreccio storico, se è vero com’è vero che il loro “Vivaldi e il segreto del nuovo mondo†non difetta di colpi di scena e di svariate altre caratteristiche da lettura di intrattenimento fine, disseminati al posto giusto al momento giusto.â€
Il piacere della lettura che noi amici condividiamo al bar-libreria Controvento è stato dunque  arricchito oggi  da Alvaro e dalle sue spiegazioni. Gli abbiamo chiesto del lavoro a quattro mani con Piccotti: – (coppia che funziona molto bene ) ognuno ha la sua “specializzazione”, chi ha l’idea, chi è esperto di musica, che sceglie la bibliografia da  consultare…
Alvaro, accompagnato da sua moglie  Maria Grazia, ci ha anche confidato sommessamente  il futuro progetto: un romanzo su un grande personaggio che sicuramente sarà fondato su basi storiche alle quali si aggiungerà la sensibilità del nostro scrittore-poeta. Non vediamo l’ora di leggerlo.
Grazie Alvaro e a presto.
Francesca Gregori e le sue immagini di luce
pubblicato da: Mirna - 27 Marzo, 2014 @ 8:17 amAll’Hortus Artieri, luogo deputato all’arte in generale, le  piccole stanze vivide che sembrano allargarsi con i quadri, la musica, la letteratura in questi giorni ospitano un ciclo di fotografie di Francesca Gregori, giovane artista trentina.
In questa sua seconda mostra personale il tema inseguito e catturato è quello della Madre.
Il titolo di questo ciclo di fotografie è infatti “M”.
Come ci sottolinea Daniela Ferrari, curatrice della mostra, in queste opere Francesca compie un autentico atto di astrazione traendo dalla realtà immagini che rimandano esplicitamente all’idea di corpo – che come un vaso – accoglie, contiene, trasforma la vita.
L’artista con il suo occhio attento, le  sue emozioni, i suoi ricordi ed esperienze intime, regala parte di sè a noi fruitori che davanti ad ogni espressione artistica ci abbandoniamo alla nostra intuizione lirica ed emozionale.
Le sue foto sono scritture di luce, le forme tonde ed avvolgenti ci danno la sensazione di accoglienza e  fiducia nell’atavico abraccio materno e cosmico. I predominanti colori giallo e rosso che si cercano e si uniscono ci suggeriscono la forza della vita e della passione.
E’ una mostra da centellinare. Ogni immagine ci parla a lungo. Ogni segno morbido ci riconduce al grembo materno, all’amore, alla fusione, a linee che racchiudono il Tutto.
Da guardare in un ordine suggerito dall’artista partendo dall’unica opera dove manca il rosso : una onirica immagine bianca e nera che sembra attendere un seme di luce. Suggestiva, bellissima.
Da un significato privato a un’idea universale. Quella della Maternità e  della Vita.
Le 13 opere presentate sono fotografie digitali stampate con tecnologia giclée su carta cotone 100%.
La mostra rimarrà aperta fino al 5 aprile . Hortus Artieri, vicolo dei Birri, 7
Da visitare.
L’ANGOLO DEI LETTORI RIBELLI di Rebecca Makkai, Piemme
pubblicato da: Mirna - 25 Marzo, 2014 @ 8:20 amChe cos’hanno in comune una bibliotecaria ventiseienne che si sente come un pesce trasportato dalla corrente perchè ha dimenticato di saper nuotare e un ragazzino di dieci anni che non sa di avere problemi di identità sessuale? Molte cose. Soprattutto l’amore per la lettura.
Lucy Hull lavora per caso nella biblioteca  di Hannibal, Missouri, nella sezione ragazzi. Discende da una famiglia di rivoluzionari russi emigrati in America, ma lei non si sente ancora “centrata”. Si percepisce come un vulcano attivo ma si accorge che tutti la vedono come la classica bibliotecaria di un tempo. Forse è per questa sua sfasatura che soffre di eczema. Ha solo pochi amici, ma adora consigliare le letture ai ragazzini.
Soprattuto a Ian Drake, dieci anni, occhialini tondi, sorridente, accanito lettore. Ma il ragazzino è sorvegliato attentamente da una famiglia opprressiva, ultrareligiosa che vorrebbe filtrare ogni suo libro. Allora Lucy lo aiuta a prendere e leggere i “libri proibiti” , sicura che proprio quei libri gli salveranno la vita.
Perchè c’è un…perchè. La maestra di Ian, i suoi genitori sono convinti che il ragazzino sarà gay. Tanto che i genitori si affidano a una congregazione religiosa per far “degayzzare” il figlio, attraverso corsi, letture mirate, sport ad hoc.
Gli avvenimenti sembrano divertenti perchè la storia talvolta è surreale, ma il problema serio è proprio quello di snaturare l’identità di un individuo.
Ian comunque percepisce un soffocamento e si rifugia in biblioteca tra i libri, specialmente tra i suoi preferiti un po’ fantasy un po’ storici. Ed è qui che un  lunedì mattina Lucy lo trova pronto a fuggire dalla sua famiglia.
E lei che sta vivendo come in un “sogno” perchè non sa più chi è, non riesce a “trovarsi”, decide di assecondarlo, per salvarlo.
Fuggono insieme verso gli stati del Nord. Soste divertentissime con i parenti russi di Lucy, terrore della stessa  di essere scoperta dalla polizia, immagini di sè in galera. La situazione sembra irrisolvibile. Ian è avido di esperienze nuove, di libertà , la “ricatta” dicendo che se non lo fa arrivare nel Vermont la denuncerà come rapitrice.
Lucy è stravolta, ma sa che vuole “salvare” Ian e pensa ai libri che lo potrebbero aiutare: La serie del mago di Oz, Harry Potter,  l’Hobbit e piano piano fino al giovane Holden.
Sembra non avere più volontà di decidere, però si accorge che l’eczema sta diminuendo e che Ian comincia a pensare di tornare a casa.
La soluzione è facile, sembra che tutto si aggiusti.
Il titolo originale è “The borrower” coloro che prendono in prestito. Sia libri …che vite degli altri. Credo sia veramente più adatto.
Se Ian è ancora troppo piccolo per essere definito, certamente Lucy è un’antieroina, ma è così simpatica immersa com’è  sempre in una sorta di obnubilamento a lei necessario per la scoperta di sè!
Dopo la confusione la verità .
Mi è piaciuto molto.
TRE PUNTI DI ROSSO di Luisa Gretter Adamoli, curcu & genovese
pubblicato da: Mirna - 23 Marzo, 2014 @ 10:48 amAlfonsina Gonzaga Madruzzo. Donna interessante, bella, intelligente. Non sarebbe straordinario conoscere la sua vita? Possiamo farlo leggendo il libro di Luisa Gretter Adamoli che, intrigata da un dipinto riscoperto nella Chiesa dell’Inviolata di Riva del Garda, ha iniziato a fare ricerche.
Tre anni di lavoro.
Grazie anche al marito architetto incaricato del restauro. Un lavoro paziente iniziato dapprima a due mani e poi fiorito nella mente curiosa della letterata Luisa. Da un dipinto in cui Alfonsina prega rivolta a San Carlo Borromeo …mille interrogativi. Chi era veramente quella signora dai capelli rossi?
Alfonsina nasce alla fine del XVI secolo a Novellara e appena ventenne andrà sposa a Gianangelo Gaudenzio Madruzzo. Si trasferirà dunque a Riva del Garda. E’ una sposa devota e attenta.
Rimasta vedova precocemente riuscirà con abilità a preservare il suo potere. La sua esistenza di agi e affetti è anche segnata da lutti e impegni gravosi.
La vediamo nel dipinto di Martino Teofilo Polacco con quella civettuola ciocca rossa che esce dalla cuffietta. Uno dei Tre punti di rosso. Gli altri due, ci spiega Luisa, sono il colore della  tenda da cui una servetta curiosa ammira la padrona orante  e un altro è la  vistosa chioma rossa di una Maddalena dipinta forse da un allievo di Guido Reni.
La biografia è romanzata per circa il 20- 30% ci spiega Luisa. Tutto il resto è storia supportata da documenti , lettere, annotazioni, conti della spesa.
Lavoro appassionante le riconosciamo noi del gruppo lettura.
Godibilissimo leggere del lungo viaggio verso Praga che la madre di Alfonsina fa per chiedere aiuto all’imperatore, ( 28 giorni di carrozza)  e deliziose le lettere che Alfonsina scrive alla madre , alle sorelle o i suoi conti di casa dove annota scrupolosamente ogni spesa come i soldi (i ragnesi, ci spiega il marito di Luisa) spesi dal marito Gianangelo per il gioco.
La storia dei Madruzzo si intreccia alla storia europea: dalla guerra dei Trent’anni, alla presa di Mantova da parte dei  Lanzichenecchi, alla peste.
Soprattutto la vita di una donna forte e moderna che possiamo conoscere attraverso le sue parole scritte.
E osare qualche supposizione? Come mai il pittore Polacco dopo averla ritratta con amorevole attenzione sembra sparito?
Luisa Gretter Adamoli ha ricercato pazientemente nell’Archivio Gonzaga tracce di questa donna, unica donna “committente” mai ritratta da un pittore ( Martino Teofilo Polacco) in una chiesa, che dopo la morte del marito, l’aveva vista partecipe della sua costruzione. “Tutto ciò in un territorio, quello del principato vescovile di Trento, governato dagli ultimi eredi di una dinastia legata a doppio filo sia all’impero sia al papato della Controriforma, in uno scenario di vaste dimensioni come quello del Sacro Romano Impero”
Da leggere.
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E poi è di nuovo Primavera
pubblicato da: Mirna - 21 Marzo, 2014 @ 9:37 amEterno ritorno.
Il Tempo ci sommerge e ci cattura nel suo fluire.
“ Oh, famelico Tempo, la zampa del leone corrodi
…Fa’ mentre ti dilegui, le stagioni tristi o giulive
e tutto quello che vuoi, fa’ Tempo dal piè leggero
al vasto universo e alle cose sue dolci che appassiscono;
Ma un crimine molto più nero ti vieto: del mio amore
la bella fronte non incidere con le tue ore, fugace…
lascialo illeso nel tuo correre implacabile, serba
il modello della Bellezza agli uomini venturi,
fa’ pure il peggio vecchio Tempo: del tuo danno a dispetto,
giovane per sempre vivrà nei miei versi il mio Amore.”
William Shakespeare, XIX
Giornata mondiale della poesia: è il primo giorno di primavera.
Soprattutto
 io amo possedere
le piante di
amarene e di limoni
e il vento che sa
di anice e di menta.
Quieto è il fluire
dei meriggi
sui girasoli
stanchi e
le rose quasi bianche;
sulla tavola
d’ardesia
si insinua, cauto,
un tralcio
d’uvaspina.
Mi piace lasciare
vagolare
il mio sguardo e il
mio pensiero
su ali di farfalle
senza tempo
che non sanno di
volare
la loro eternità .
M.M.( Giardinetto)
Desiderio del mio  angolo verde, di fiori, di pensieri, di ricordi, di sogni.
Che cosa sarebbe la vita senza Poesia?
Ricordando Ruggero Polito, persona straordinaria e indimenticabile amico
pubblicato da: Mirna - 19 Marzo, 2014 @ 8:38 amLa gioia di vivere. La musica. L’amore per il creato .
Chi ha conosciuto Ruggero è sicuramente più ricco.
Ora ci resta un vuoto enorme, Â ma colmo del suo sorriso indimenticabile.Tutto piaceva a Ruggero Polito: la lettura, lo stare insieme, la discussione profonda e quella lieve. Il suo violino.
Quel suo amore per Maria Grazia e la sua famiglia, per i suoi amici, per me, per Stefania. Ognuno di noi si sentiva speciale quando parlava con lui, perchè lui ti guardava dritto in fondo all’anima con intelligente perspicacia.
Ci capiva e non ci giudicava.
Una vita piena di musica, di danza del cuore e  di freschezza  trasmessa a tutti coloro che gli stavano incontro.
La sua vita pervasa da uno speciale “lessico della gioia”che ci faceva sentire migliori e pieni di fiducia.Indimenticabile Ruggero. Che hai suonato e danzato accanto alla nostra vita rendendola più preziosa.
Mille e ancora mille immagini di te, indelebili nel nostro ricordo.
Tu amatissimo amico, tu Ruggero, nostro maestro di vita.                                    Â
LE LACRIME DI NIETZSCHE di Irvin D. Yalom, Neri Pozza
pubblicato da: Mirna - 15 Marzo, 2014 @ 8:28 am
Che cosa può consolare da giorni e giorni di una terribile influenza? Un libro che corrisponda appieno alle proprie esigenze. E questo lo è.
Pura gioia, nonostante le lacrime del grande filosofo. Gioia assaporata tra un colpo di tosse e l’altro con Mimilla sulla pancia.
E con un inizio strepitoso: a Venezia il geniale psichiatra viennese  Breuer aspetta Lou Salomè.
L’eccezionale giovane donna russa gli deve parlare del suo amico Nietzsche che secondo lei ha bisogno di cure, travolto com’è da una cupa disperazione dopo la rottura dello strano ménage a trois instauratosi tra lui, Lou e l’amico Rèe.
Così tra un caffè e una veneziana il dottor Breuer, affascinato da Lou,   si sente promettere che visiterà Nietzsche.
“L’autore, Irvin Yalom, è uno psichiatra-scrittore statunitense noto per aver sviluppato un modello di psicoterapia di gruppo nell’ambito dell’analisi esistenziale, nonchè una visione originale e creativa della relazione tra psicoterapeuta e paziente.
La storia racconta del rapporto, puramente ipotetico e di fantasia, tra Joseph Breuer e Frederick Nietzsche.”
Ma molti avvenimenti, lettere, speculazioni filosofiche, casi clinici sono veri.
Che godimento rimanere attaccata alle pagine di questo libro e seguire i pensieri di un filosofo che sarà un maestro per le generazioni future e ascoltare i dialoghi di Breuer e Freud sulla scoperta dell’inconscio!
Non è facile convincere Nietzsche a curare la propria disperazione che esplode in feroci emicranie e altre somatizzazioni, tanto che Joseph Breuer penserà a una strategia.
Gli chiede di essere curato egli stesso dalla mania ossessiva che sente per la giovane paziente Bertha, la famosa Anna O.
Una sfida avvincente fra due menti eccelse che avverrà a colpi di genio in una tranquilla clinica viennese.
Nietzsche si sente terapeuta della civiltà occidentale orfana di un dio che non esiste più, conscio che le sue riflessioni sull’eterno ritorno del Tempo gli hanno svelato che l’accettazione del proprio destino, l’Amor Fati, è un passo decisivo per “divenire ciò che si è”.
E capire chi ci fa soffrire: qualcosa di esterno come la moglie di Breuer o Bertha, o Lou Salomè o qualcosa che è dentro di noi e che dobbiamo riportare alla luce?
E Breuer che alla fine si era ritrovato anch’esso  disperato imparerà veramente dal Maestro a capire chi è e ad accettare il suo cammino. Bellissima e rivelatrice la passeggiata dei due prima nel cimitero ebraico e poi nel bosco viennese.
Breuer guarisce e Nietzsche conferma il suo pensiero: ogni decisione di come vivere il momento è potenzialmente ripetibile all’infinito.
STORIA DI UNA VEDOVA di Joyce Carol Oates
pubblicato da: Mirna - 9 Marzo, 2014 @ 10:23 amSapevo che una delle mie scrittrici preferite era rimasta vedova da alcuni anni e che naturalmente da scrittrice proilifica avrebbe scritto del suo lutto. Per salvarsi. Per confortarsi. Per capire.
Come potevo non leggere questo suo memoir, io che sono vedova da quasi dieci anni, – esattamente dal 12 aprile 2004 -e che sento e sentirò  sempre  il vuoto lasciato dal mio amato compagno?
Quasi 600 pagine di elaborazione del lutto, ma la Oates fa del suo dolore  un racconto epico.
Non mi sono spaventata  immaginando ciò che la vedova avrebbe scritto. Tutte coloro che hanno perso il marito hanno percorso i taglienti sentieri dell’incredulità , del senso di colpa, dell’ineluttabilità della vita, dell’accettazione.
Il marito di Joyce, Raymond Smith, noto scrittore ed editore di una rivista letteraria, ha già 78 anni, ma questo non ha importanza. Lui è il suo amato marito, compagno, sponda a cui affidarsi. E’ persino in buona forma. Ma una complicazione dopo una polmonite lo farà morire improvvisamente.
Raymond e Joyce, intellettuali, si sono conosciuti all’Università . Lei ha appena ventun’anni, lui una decina di più. Si sposano, non hanno figli, la loro vita è serena, complice, ricca, gratificante, sicura, benchè ognuno mantenga un certo riserbo sul proprio passato.
Joyce è un donnino minuto, è una persona sensibilissima e intelligente, adora scrivere e trova in Raymond la spalla, la completezza della sua vita.
Alla sua morte sembra disintegrarsi.
La corsa all’ospedale ancor piena di speranza per poi trovare invece la tragedia della sua vita.
Ricordi personali simili dello strazio ospedaliero.
Condivisione con la scrittrice della necessità  a  rintanarsi in un angolo per soffrire, l’implacabile décor delle visite molto spesso inopportune. Ricordo una conoscente che arrivò appena seppe della morte di mio marito con un uovo di Pasqua (certamente per mandare il messaggio cristiano della rinascita –  era il lunedì di Pasqua –  ) ma che mi destabilizzò  profondamente- io, distrutta mi ero ripiegata nel mio letto con dei sonniferi ).
I riti celebrativi del lutto della nostra civiltà mi trova concorde con la Oates. Perchè non lasciare per un momento il dolore puro avvincerci? Il dolore è ancora parte della persona scomparsa.  Non bisognerebbe contaminarlo.
I primi tre mesi –  oh il tempo come è necessario – come il primo anno , cioè lo svolgersi delle quattro stagioni – sono un percorso irto di se… se… se…se avessi capito prima di che cosa soffriva, se non lo avessimo portato al pronto soccorso, se avessimo parlato di più di questa ospedalizzazione.
E poi lui c’è ancora… dopo una notte abbracciato con me… e poi non è più.
C’è il dolore egoistico di chi rimane sola, di chi resta;  lui, il tuo uomo, il tuo compagno, colui che ti lascia (e lo incolpi di questo) non prova ciò che provi tu. Lui non sapeva ciò che sarebbe accaduto. “Non ha sperimentato quella perdita di significato che tu – sopravvissuta – avverti: si sentiva investito, pervaso del significato che tu gli hai sempre dato, e non ha mai smesso di amarti, neppure per un solo momento dell’esistenza trascorsa al tuo fianco: Per tu0 martito, la morte non ha rappresentato una tragedia, bensì un completamento”
Ray continua a chiamare Joyce “tesoro”, come sempre. Piero era orgoglioso che facessi cose estremamente intime sul suo corpo di malato, diceva “se mia sorella ti vedesse“, e mi diceva inspiegabilmente che sembravo “Ginevra”.
Joyce torna nella sua casa vuota, non ha la consolazione e il conforto di una figlia, ma quello di due gatti che però amavano soprattutto Ray. “Un respiro alla volta” le scrive una cara amica. “un giorno alla volta”. E’ così che la vedova di un marito amato cerca di non soccombere.
I capitoletti in cui questo “pellegrinaggio” nel dolore è diviso,  ricordano le poesie che io durante i primi mesi della sua assenza scrivevo seduta sul pavimento. “Dead woman walking” ricorda la mia “donna automa”, perchè è così che ci si sente nei primi mesi.
E così Joyce fa ricorso a pillole, a sforzi inauditi per vedere amici, a riprendere il lavoro. Lavoro che salva. L’insegnamento soprattutto. Perchè insegnare è spostare l’attenzione su altri, è solidarietà . Insegnare è un atto di comunicazione, di comprensione, è un modo per far sì che il prossimo entri nella solitudine della tua anima.
E se per Joyce il suo corso di scrittura creativa la aiuta, per me la classe della terza D ( con Luigi) mi ha aiutato moltissimo.
Una mia collega mi disse: Aspetta il cambio delle stagioni e crea nuovi ricordi. E così con fatica feci. Un viaggio in Irlanda, in modo che la successiva estate ricordassi  cielo e mare di Dublino e non solo ciò che facevo con mio marito.
E così fa Joyce. Perchè il senso della vita che crede di aver perso è proprio nella vita.
Dedicato a tutte le mie care amiche vedove e alle lettrici attente.
Per l’ Otto Marzo: musica, versi, pensieri di donne per le donne
pubblicato da: Mirna - 7 Marzo, 2014 @ 8:50 amMa anche gli uomini sono i benvenuti.
A tutte le donne lettrici, mie amiche di percorso e di pensiero, dedico l’immagine di una mimosa fotografata da Grazia, sul Golfo Paradiso.
Nominare tutte le donne famose e non che hanno continuato una battaglia -che non sarebbe  dovuta esistere - per ottenere diritti e rispetto sarebbe un’impresa infinita.
Noi conosciamo chi ammiriamo e  il cui  pensiero condividiamo. L’importante è appunto continuare a pensare, a leggere , a comunicare, a crescere.
Senza accontentarci di essere un grazioso mazzolino di fiori, ma un albero con radici più solide persino della mimosa, nostro simbolo .
Con l’augurio di diventare sempre più forti e consapevoli.
Mirna
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