NUVOLOSITA' VARIABILE, e i fili dell'amicizia
pubblicato da: admin - 17 Aprile, 2010 @ 7:21 pmAmiche per sempre, ritrovate, nuove o amiche che  lentamente si perdono in altri percorsi. Riflettevo stamattina dopo il caffè con le care Terry ed Enza, come si allarga o si sfalda l’arazzo amicale. Grazie al blog poi sono entrata  in contatto con altre persone con le quali sento consonanze ed affinità .
Come con Miki che oggi compie 31 anni! Auguri! E’ giovane come Raffaella e  Maria Letizia .
Nel romanzo della spagnola Carmen Martìn Gaite si parla di un’amicizia al femminile, nata sui banchi di scuola, alimentata dalle stesse passioni dell’adolescenza e  ritrovata dopo quasi trent’anni di lontananza. Mariana Leon, una brillante psicoanalista e Sofia Montalvo, moglie di un ambizioso uomo d’affari e madre di tre figli ormai grandi,  si reincontrano, con profonda emozione, a un vernissage. Sdrammatizzato il motivo per cui si erano allontanate (un ragazzo che piaceva a entrambe), comprendono che quello è il momento giusto per confrontarsi, aiutarsi reciprocamente dato che la loro vita si trova in un momento critico. La loro antica intesa viene rinnovata con il patto di scriversi e riaprire lentamente il loro dialogo .
“Nuvolosità variabile” è un racconto scritto a due voci, un po’ diario, un po’ epistolario. Una scrive lettere e le invia, l’altra scrive ma non è ancora pronta a spedirle all’amica. Di che cosa scrivono? Di sè, della vita, dei rimpianti, delusioni, speranze: una sincera autoanalisi e revisione critica della propria esistenza.
Sofia ritrova la sua innata creatività e riesce a trasformare in materia narrativa anche gli episodi più banali della sue giornate di moglie-madre  stanca di un marito disattento e  di una figlia contestatrice. Mariana è più metodica, razionale, riesce a confidare il fallimento sentimentale, amaro risvolto della sua brillante carriera .
Conosciamo completamente, anche grazie a flash back, la vita di queste due donne che alla fine si daranno un appuntamento al mare, vicino a Cadice finalmente consapevoli di ciò che sono e di che cosa vogliono. “Eppure le due donne sedute una di fronte all’altra, rivolte verso il mare, vicino all’estremità della balaustra, non sembravano accorgersi dell’imminente arrivo della pioggia nè della notte…Se una delle due se ne stava silenziosa a guardare il mare con un’aria meditabonda, ben presto l’altra spezzava il suo silenzio gesticolando espressivamente…Avevano le guance arrossate e ciascuna di loro brandiva nella mano destra una penna stilografica…”
 Attraverso la scrittura destinata a  chi può capire, la “nuvolosità variabile” dei sentimenti viene raccolta in un insieme più comprensibile e accettabile. I vari frammenti sono resi omogenei nel loro sincero  raccontarsi . La figlia di Sofia, Encarna, si preoccupa di non poter ordinare nella mente i vari frammenti della realtà : “Tutti pezzettini! Sono tutti pezzettini! ” Quando non si comprendono nel loro insieme le cose sembrano avvolte da una nuvola.
E qui devo citare mia figlia Stefania che talvolta, da ragazzina , diceva che “aveva la nube”…
Insomma un altro libro di esplorazione dell’anima, un altro invito alla scrittura, e un grande piacere di leggere storie di donne come noi. Autoritratti delineati in spazi vitali che noi possiamo conoscere attraverso la  descrizione della casa, come rifugio, come specchio di sentimenti e pensieri. Penso quindi alla mia nuova amica di Varese,  che sta curando le sue orchidee (non so ancora se posso scrivere il suo nome) e che descrive in modo poetico  le sue giornate di nuvolosità variabile.
E naturalmente penso a Renata che nel 1999 mi consigliò questo libro. Amica che mi legge quotidianamente, ma che non riesce a scrivere con il PC (è tecnologicamente “arretrata”, come lo ero io tempo fa! ), ma che legge tanto e mi dà consigli preziosi. Lei e tante altre sono le amiche per sempre, adesso ne scopro di nuove e  importanti, alcune  invece si stanno perdendo come petali leggeri di primavera, per usare una figura retorica!
La riflessione del mio 89 esimo giorno di blog è d’uopo: amiche eterne, nuove, che si perdono…
TUTTI I RACCONTI DEL MISTERO…di Edgar Allan Poe
pubblicato da: admin - 16 Aprile, 2010 @ 8:08 pmContinuo con i racconti di Poe per completare il post di qualche giorno fa sulla paura e il genere letterario horror. Lo spunto mi è¨ stato dato sia dal pomeriggio un po’ grigio che mi ha spinto a rileggere un suo racconto, sia dall’ultima Âfoto scattata a Mimilla… che ha “spaventato” persino Stefania.
Parlo de “Il gatto nero”, inquietante, terribile, con il finale da brivido.
“Non c’è¨ racconto degno di questo nome se dalla prima parola non suscita l’interesse del lettore, che deve giungere all’ultimo rigo per comprendere la soluzione finale.” scriveva Baudelaire.
In effetti tutti i racconti di questa raccolta sono un labirinto in cui il lettore è¨ costretto a proseguire fino alla liberazione finale. Sappiamo della vita difficile di Edgar Allan Poe, del trauma indimenticabile di essere lasciato fuori dalla porta della camera dove la giovane mamma stava morendo. E conosciamo i suoi tormenti, i suoi incubi, le sue visioni procurate anche dall’uso eccessivo di alcool . E conosciamo il suo terrore del Male di cui è¨ costretto a parlare per esorcizzarlo. Il Male gratuito, quello che sembra far parte dell’essere umano , senza via di scampo.
A tal proposito proprio pochi giorni fa ho sentito, con raccapriccio, che un pluriomicida americano ha rilasciato in un intervista televisiva. Con estrema freddezza dice che il Male è¨ dentro ogni uomo e che prima o poi esce. Il Male, il contrario del Bene, del Buono, ¨ ciò che mi spaventa di più. Non credo a ciò che dicono i pazzi criminali, ma Poe evidentemente era affascinato dall’oscurità della nostra mente. “…questa forma di malvagità perversa è¨ uno degli impulsi primordiali del cuore umano – una di quelle inscindibili facoltà primarie, o sentimenti che governano il carattere dell’Uomo” fa infatti dire a un suo personaggio.
“Il gatto nero” ha un inizio tranquillizzante in cui il protagonista-narratore parla del suo amore per gli animali domestici, del suo matrimonio e della decisione di prendere in casa un cane, una scimmietta, pesci rossi ed un gatto nero, molto bello e intelligente. La moglie fa allusioni all’antica credenza popolare che vede i gatti neri come delle streghe travestite, ma entrambi ne ridono. Il gatto, chiamato Plutone, instaura subito col padrone un rapporto di amore e di fiducia.
Ma ecco che progressivamente la storia incalza, varia, si deforma e ci travolge. Un cambiamento radicale investe il narratore che , per l’abuso di alcool, diventa violento, sia verso la moglie che verso i suoi animali, soprattutto verso Plutone. Una notte, tornato a casa ubriaco, gli sembra che il gatto lo eviti, si lascia prendere da una furia demoniaca e lo acceca in un occhio. Ma non è¨ finita la discesa agli inferi della malvagità , perchè¨ poco tempo dopo lo impiccherà .
Nelle bettole che poi frequenta sempre più¹ assiduamente nota per caso un gatto per molto aspetti simile a Plutone, (il cui corpo non era stato più ritrovato)…
Intanto pazientemente  la moglie subisce il suo brutale comportamento, ma un giorno per difendere il cane dall’ascia omicida del marito, viene uccisa, fatta a pezzi e nascosta nel muro della cantina, prima divelto poi ricostruito.
Credo che tutti l’abbiate letto, ma la fine è¨ eccezionale. I poliziotti indagano e non scoprono nulla. Viene visitata la cantina per l’ennesima volta e il protagonista, ebbro della sua furbizia batte col bastone il muro dove ha nascosto il cadavere della moglie esclamando con spavalderia “…signori…queste pareti sono costruite solidamente.”
Ma improvvisamente una voce lamentosa,un pianto che si trasforma in urlo sconvolgente, un ululato”per metà di orrore, per metà di trionfo” risponde al suo colpo.
Quando gli inquirenti, demolito il muro, scoprono i poveri resti della donna, vedono il gatto stravolto  con la rossa bocca spalancata …
 Spero che Michela, Enza , mia figlia e tutti  gli amanti del brivido abbiano gradito questo post.
Io devo chiedere perdono alla mia Mimilla-principessa perchè¨ le faccio fare la parte del gatto-mostro. Lei è¨ una dolcissima creatura affettuosa. Ma è¨ venuta così¬ male in questa foto…che può recitare la parte di Plutone.
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MARINO MORETTI, omonimo di mio padre
pubblicato da: admin - 15 Aprile, 2010 @ 7:55 pmIl 15 aprile 1912 è la data di nascita di mio padre, Marino Moretti. Nacque proprio la notte in cui  il Titatnic affondò ( ci teneva a ricordarlo) –  e qualcosa di tempestoso ed eccessivo nel suo carattere  lo ha sempre avuto – ! Oggi avrebbe quindi quasi 100 anni, sarebbe potuto  essere! La nonna di mio genero è una deliziosa centenne che vive da sola.
Il poeta Marino Moretti nasce invece nel 1885 a Cesenatico e si inserisce nella corrente del Crepuscolarismo. Ama recuperare nel ricordo le “buone cose di pessimo gusto” come Gozzano nella celebre “L’amica di Nonna Speranza”. Le sue raccolte hanno titoli semplici “Poesie di tutti i giorni””Il giardino dei frutti”, “Poesie scritte col lapis”. …
Parla spesso di scuola, di alunni, quaderni e lapis rosso e blu. Mi ricordo di una volta che, ammalata, mi sentivo dentro una sua poesia.
“Pensavo alla mia classe, al posto vuoto / al registro all’appello (oh, il nome, il nome / mio nel silenzio! ) e mi sentivo /Â come proteso nell’abisso dell’ignoto…
…E fra me ripetevo qualche brano / di storia (Berengario, Carlo Magno / Rosmunda) ed era la mia voce un lagno…/ ritmico, un suono quasi non umano/…Ma l’ore…l’ore non passavan mai.”
Il suo linguaggio è semplice, comprensibile, velato talvolta da ironia. Scrive anche romanzi.
Ma sfogliando la mia antologia scopro una poesia deliziosa dedicata a “Carolina Invernizio”,una scrittrice di storie un po’ rosa, un po’ horror, un po’ gotiche, dai titoli “Sepolta viva”, “Il bacio di una morta” “La vendetta di una pazza”… che Marino Moretti aveva letto da ragazzo (le ho  lette anch’io… su suggerimento della mia bionda e adorata mamma!!!).
“…Qual bacio infame, qual delitto, quale / segreto, quale terribile sorte / quale peccato, qual genio del male? /…Gli altri parlavan di navigatori,/ di arcipelaghi in fiamme, di villaggi / aerei, di corsari e minatori…/ io li guardavo i miei compagni, attento, / dubbioso ancor della Sepolta viva, io li guardava con la faccia smorta, /con la mia smania di pervertimento, / dubbioso ancor del Bacio di una morta./ Ma oggi dolce il tuo pensier mi lega / a’ tuoi fantasmi e a te mi ravvicina, / oggi ch’io sono quasi un tuo collega, / oggi che taci e muori, Carolina.”
Come lui a suo tempo, leggendo questi racconti, mi sentivo in imbarazzo soprattutto nei confronti di una amica più intellettuale che leggeva i Lirici greci e saggi politici. Ma per me i romanzi della Invernizio, della Delly, di Liala erano  un’evasione totale, inoltre mi piaceva tanto leggere questa autrice perchè  era il soprannome di mia zia Luciana, melodrammatica, esagerata e catastrofica come le sue storie. Mia madre, sua sorella, la chiamava così e  spesso la sentivo commentare le sue lamentele con ” Ma va’ là , Carolina Invernizio!”
Poesia crepuscolare, poesia dei ricordi familiari, di un tempo che sembra lontanissimo, ma non è. Avvolti nella tecnologia, nella fretta estrema del vivere consumistico, consumiamo il tempo, le cose, il respiro e  non ci rendiamo conto degli agganci con il passato così importante per la nostra storia.
Quand’ero bambina, negli anni ’50, c’era il Rusinin una ex-mondina, piccola e secca, che viveva in una stanzetta sopra il nostro appartamento, a Carpi. Ebbene lei non aveva la luce elettrica. Non so il perchè: forse non aveva soldi? forse non voleva cedere alla modernità ? Ma quando lei mi chiamava per farmi assaggiare la grappa con la ruta ( forse non adatta a una bambina, ma le mondine…) io rimanevo incantata dalla sua lampada ad olio e volevo sempre provare ad accenderla. L’Ottocento era vicino, quindi.
Ed ora?
La nostra memoria, serbatoio importante e basilare per farci proseguire deve sempre essere attizzata come un fuoco per produrre la sua energia.
Mio padre, Marino Moretti, toscano Doc, persona affascinante, talvolta un po’ difficile e forse incompreso, è sempre nei miei pensieri.
MANGIA, PREGA, AMA, e il coraggio della veritÃ
pubblicato da: admin - 14 Aprile, 2010 @ 8:24 pmHo ripensato a questo libro, letto alcuni mesi fa, per la capacità della primavera di far sbocciare la voglia di cambiare, di rinascere. Non semplici cambiamenti nell’arredamento, negli abiti o negli itinerari di passeggiate, ma i grandi cambiamenti. Questi dovrebbero avvenire con coraggio e sincerità quando ci si sente stretti, soffocati da una vita che non sentiamo più nostra. Non è naturalmente il caso delle persone fondamentalmente soddisfatte, che “aggiustano il tiro” con accettabili compromessi e che hanno affetti importanti.
Ma quando una persona si sente precipitare in un tunnel profondo perchè la sua vita non è più la “sua”, e se ne rende conto,e per una notte intera piange ininterrottamente sul pavimento del bagno, vuol dire che occorre reagire, fare qualcosa. E’ quello che Elizabeth Gilbert fa e poi racconta in: “Mangia, prega, ama“.
Ha 34 anni, giornalista , sposata senza figli, vive a New York. Sembrerebbe una situazione invidiabile. Non lo è, perchè Elizabeth – Liz – , sente che il suo matrimonio è finito, e la sua vita privilegiata non le dà tutto ciò che lei desidera. Vuole cambiare, cercare la sua essenza,  ha bisogno di conoscenze nuove, di meravigliarsi della vita, che come un dono, deve essere sfogliata interamente come un libro o come un fiore.
Ci vuole coraggio per lasciare un marito, un lavoro, una città , ma secondo me il coraggio vero è quello di sapere chi siamo e che cosa vogliamo per vivere in modo lieto. L’onestà della verità , credo, sia un obbligo verso se stessi e … verso la vita in sè.
Naturalmente ( per chi se lo può permettere)  il viaggio è la medicina migliore e in questa ricerca spirituale e psicologica attraverso anche la materialità Liz troverà se stessa, la voglia di vivere ed amare. Quando non si può partire fisicamente, allora rimane il “viaggio” interiore, lo scandagliamento del nostro io, e qualche soluzione per stare meglio, e di conseguenza far star meglio anche chi ci è vicino, si può trovare.
“Ama, prega, ama” è un reportage di viaggio non solo materiale, ma soprattutto intimo. La prima tappa che Liz sceglie è proprio l’Italia, (così amata dagli americani!), con il suo fascino del sole, delle bellezze artistiche, della cucina…Ha desiderio del piacere sensuale del dolce far niente, della bellezza e del cibo. Prima in Sicilia dove si inebria girando per Siracusa, poi Roma, Napoli ed infine Bologna per concludere la sua curiosità gastronomica. Ingrassa più di 10 chili , ma sente che  la strada è quella giusta. Dopo aver viziato il suo corpo va in India. Pagine belle in cui ci racconta i corsi intensi e faticosi  di Yoga, fa meditazione riuscendo a giungere infine ad una  profonda spiritualità , alla grazia, a Dio. Suo compagno di corso un idraulico neozelandese. Il racconto è anche spiritoso, ironico pur nel suo contenuto serio e drammatico. Emerge un gran senso dell’ umorismo ereditato da una folta schiera di zii, fratelli abituati a fare battute spiritose a raffica.
Ed infine a Bali, in Indonesia, Liz ritrova la serenità e l’equilibrio. Il viaggio dentro di sè , dopo la notte di “parto” e di pianto, ha concluso  il suo cerchio, come il rosario indiano dalle 108 perline, lo japa male. E 108 sono i capitoletti in cui possiamo seguire questa giovane e coraggiosa giornalista nella sua rinascita.
Conosco alcune persone che sono riuscite a dare una svolta significativa alla propria vita, proprio dopo pochi giorni di intensa riflessione e lacrime, o dopo un’inattesa inaccettabile situazione. Per quanto mi riguarda so che la spinta a  “fuggire” in Inghilterra, quando avevo 22 anni, è nata in un pomeriggio domenicale di fine inverno in un ambiente di totale noia e squallore in cui avevo capito che sempre e tutto sarebbe stato uguale. Sensazione di soffocamento, depressione istantanea,…spinta alla fuga. Dopo alcuni mesi ero sull’overcraft e attraversavo la Manica. Vedendo le bianche scogliere di Dover, ricordo, che respirai profondamente, sorrisi, mi feci fare foto da sconosciuti e mi dissi “Finalmente. Ora mi sento io”.
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I BROWNING, quando la poesia è amore
pubblicato da: admin - 13 Aprile, 2010 @ 8:39 pmSiamo nell’Inghilterra vittoriana ed Elizabeth Barrett nel 1844 è un’acclamata poetessa. Ha 38 anni  e vive a Londra con il padre e i fratelli, ha una malattia polmonare che l’ha resa seminvalida, ma continua a scrivere rappresentando in pieno la propria epoca. La sua è una poesia emotiva, intima, espressa in un linguaggio talvolta retorico.
“Mi lasci. Eppure io sento che sarò / sempre nella tua ombra”…”Apri il tuo vasto cuore e in esso accogli / le ali bagnate della tua colomba”…”Lucciole e usignoli, / palpitavano insieme, fiamma e canto “
 E tuttavia la Barrett ha una personalità poetica tutta sua, ammirata anche da altri poeti . Edgar Allan Poe prende ispirazione da  un suo poema “Lady Geraldine’s Courtship”, imita la sua metrica per “Il corvo”. Anche Emily Dickinson l’ammira sia come poetessa che come donna di forti ideali politici e libertari. Elizabeth Barrett fu infatti una fervida partigiana del Risorgimento italiano e di Napoleone III che cantò nelle sue poesie.
 Il poeta Robert Browning, legge le sue poesie ed inizia con lei una fitta corrispondenza.Â
“Mi è entrata dentro, divenendo parte di me, questa vostra poesia grandiosa e viva…Amo tutti i vostri versi con tutto il mio cuore, cara Miss Barrett, ed amo anche voi con tutto il cuore.”
Roberto Browing non è così popolare come Elizabeth, ma ha scritto vari poemi e soprattutto monologhi drammatici che esprimono stati d’animo vigorosi, una visione del mondo che si esplicita nei personaggi sia storici sia immaginari. Nel 1841 pubblica “Pippa passes”, e più tardi “Dramatic Lyrics”, “Men and Women”ecc. E’ un ottimista per cui si discosta dal tipico dubbioso e inquieto poeta vittoriano. Pur romantico sotto molti aspetti, con la sua poesia fa piazza pulita di molti languori e svenevolezze del suo tempo.
Robert ed Elizabeth nel 1945 si incontrano e  decidono di sposarsi di nascosto dal padre di lei che osteggia la loro unione. Lui è più giovane di sei anni, non è ricco  e non ancora famoso. Fuggono a Firenze dove alloggeranno a Casa Guidi, oggi museo a loro dedicato.
Elizabeth, la cui salute è migliorata, all’età di 43 anni dà alla luce il loro unico figlio maschio, soprannominato Pen. Compone i celebri “ Sonetti portoghesi” in cui ,fingendo di tradurre ,canta il suo amore languido e appassionato per il marito.
“Se devi amarmi, per null’altro sia / se non che per amore. / Mai non dire: / l’amo per il sorriso / per lo sguardo / la gentilezza del parlare / il modo di pensare/ così conforme al mio… / Soltanto per amore amami / e per sempre, per l’eternità .”Â
Dopo la morte della moglie nel 1861, Robert Browning torna col figlio a Londra, dove la sua fama si è ormai consolidata. Ora, non più soltanto marito della Barret, ma poeta laureato ad honorem dall’università di Oxford, vede fondare la Browning Society.
Per me Robert Browning è sempre legato ai versi di “Ricordi di casa dall’estero” che oggi disperatamente cerco nella Oxford Anthology, nel volume di Daiches, ma che non trovo. So l’incipit a memoria ( come ho già scritto in un altro post) :”Oh, to be in England /now that April’s there…” ma il seguito? So dove trovarlo!| Nel mio diario del 1968, quando mi trovavo in Inghilterra. Apro le pagine di Aprile…
And whoever wakes in England / sees some morning, unaware / that the lowest boughs and the brushwood…
“Ascolta dove il mio  pero fiorito / sparge sul trifoglio fiori e rugiada /a capo del getto ricurvo. /Là è il saggio tordo, /ripete il suo canto due volte,/ chè tu non creda che non sappia ricogliere /la prima sua bella e spensierata estasi”.
DIARIO, per sempre
pubblicato da: admin - 12 Aprile, 2010 @ 8:00 pmNon è facile per me scrivere con leggerezza il 12 aprile. I Diari miei e di altri mi aiutano a ricomporre la mia piccola vita, altri sospiri che possono mescolarsi ai miei. Il 12 aprile del 2005 scrivevo : “Un anno. E’ come fosse passato un giorno, un’ora. Il dolore è appuntito e mi seziona in filamenti…Ricordi che tengo imbavagliati e che non sbiadiscono. Io, sola, che inizio la mia vecchiaia.; un tempo che immaginavo sereno, senza tumulti, senza sforzi, mi si presenta arduo e arido. Chiudo questo quaderno nero e cerco piccole luci in questa grande oscurità che è il mio futuro. Leggo. Timore: riuscirò da sola? Amiche: confortanti. I caffè. Qualche film. TV. Libri e libri.”…”Le mie piante crescono e l’orchidea bianca è bellissima.”
Sto facendo una grande confusione oggi per scrivere il post quotidiano, ho aperto i diari delle mie scrittrici preferite, ma sono un po’ “in bilico”, non per niente mi è caduta nuovamente sul polpaccio la sedia pieghevole della cucina. Già l’ecchimosi fiorisce sulla pelle. Inoltre la gatta-principessa mi vede distratta , allora miagola miagola facendo la patetica per avere la mia attenzione. Non trovo i libri di cui voglio parlare: prima ne ho aperti un po’ nell’ingresso, nello studio, sui divani…che caos!
Credo che in copertina metterò il diario di Katherine Mansfield, visto che ho parlato di lei pochi giorni fa. E’ il 12 aprile del 192o e lei scrive: “Ho visitato il Museo oceanografico di Monaco. Ricordo le bolle che affioravano sull’acqua quando l’uomo immergeva la canna nei serbatoi. La giovinetta…com’era graziosa! Ho l’impressione di avere quarant’anni quando vedo delle ragazzine…La donna coi suoi tre bambini a Montecarlo…” E’ un quadro che noi lettori possederemo per sempre. In un altro precedente aprile annotava “Questa sera il cielo si è rassenerato al tramonto. Credevo il giorno chiuso e sigillato, quando avvenne un improvviso irrompere di petali, divinamente luminosi…”
Questo suo diario ci regala una visione unitaria sia dal lato umano che artistico, come lo definisce John Middleton Murry, il critico e letterato che fu compagno della Mansfield dal 1911 alla morte. In molte pagine ci sono infatti appunti per i suoi racconti, le attente osservazioni sulle persone che incontra, le riflessioni sul suo lavoro di scritttrice.
Mi viene in mente il diario che mia figlia Stefania scrive sui pezzi musicali che suona o che dovrà suonare nei suoi  concerti in giro per il mondo. Dice che le è utilissimo perchè annota le scoperte, ciò che le piace o che vuole modificare; è un aiuto validissimo per la sua carriera di pianista e fortepianista. ( A proposito, se volete conoscerla cliccate sul suo sito www.stefanianeonato.com )
Diario for ever. Scrivere per ricordare, per capirsi, per esorcizzare. Ero molto in dubbio se rivelare qualcosa di così intimo, so che molte amiche o conoscenti non lo farebbero mai. Io ho pensato che volevo “regalare” anche un momento della mia sofferenza per aiutare e forse confortare altre persone. Una mia nuova “amica di penna” mi ha scritto che teneva un diario sui cambiamenti della natura, un po’ come “La signora inglese di fine Ottocento”. Mi piace pensarlo e immaginarlo. Ricordo anche un mio collega, trentino doc, che invece annotava, anno dopo anno, le nevicate in regione. Mi sapeva dire quanti millimetri erano caduti nel tal anno, che tipo era la neve…le previsioni, insomma scritti pratici, ma confortanti e utili.
Naturalmente non potevo esimermi dal nominare  Virginia Woolf. Che poteva mai pensare il 12 aprile del 1919? Naturalmente parla di lettura ” Rubo questi minuti a “Moll Flanders” che non finii ieri, secondo il mio orario scritto, avendo ceduto al desiderio di interrompere la lettura e andarmene a Londra. Ma vidi Londra…con gli occhi di Defoe…grande scrittore per imporsi a me anche dopo 200 anni… Forster  mi salutò dalla biblioteca, mentre mi avvicinavo. Ci stringemmo cordialmente la mano; pure lo sento sempre sottrarsi a me, sensitivamente, come da una donna intelligente, una donna moderna…”
Avrei da aprire anche i diari di Cesare Pavese, Sylvia Plath, Arthur Schnitzler ecc. ma non sarebbe bello leggere qualcosa di nostro?
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VI MOSTRERO' LA PAURA, di Nikolaj Frobenius
pubblicato da: admin - 11 Aprile, 2010 @ 8:00 pmHo notato in questi ultimi tempi un aumentato interesse da parte di scrittori e registi per la paura, il brivido, il soprannaturale. Films su vampiri, telefilm su medium e menti criminali, libri su fantasmi o storie inquietanti. E’ un bisogno di catarsi per sfuggire alla paura? O siamo entrati nel secolo della paura? Abbiamo lasciato quello dell’ansia, secondo sociologi e psicologi, ed ora abbiamo poche difese di fronte al terrorismo, catastrofi naturali, imprevidibilità dell’essere umano? Fortunatamente ci sono sempre l’energia positiva, l’ottimismo di tante persone, l’entusiasmo. Stamattina  con le care amiche , mentre bevevamo il caffè al bar del Lungo Fersina, analizzavamo l’attuale epoca così individualistica e chiusa. Pur sentendoci noi tre  abbastanza soddisfatte  del nostro percorso esistenziale e  sufficientemente sagge per valutare i nostri tempi, percepiamo talvolta  tra le nuove generazioni un po’ di insicurezza, mancanza di puntelli …quasi “paura della paura” . E’ per questo che tanti ne scrivono?
Non ultimo questo ancor giovane scrittore norvegese Nikolaj Frobenius che si cimenta in una biografia del padre dei racconti dell’horror e dei thriller: il visionario Edgar Allan Poe. E’ un racconto a tre voci, quella di Poe, quella del critico letterario Rufus Griswold e quella di un personaggio immaginario, Samuel, che altri non è che il “doppio” di Poe.
 Ripercorriamo la vita di questo scrittore statunitense sin dalla perdita traumatica della madre di cui sentirà per sempre la mancanza. E’ ancora piccolo e presto perde  anche il padre. Adottato da un ricco negoziante, il signor Allen, ne assume il cognome. Sensibilissimo, bello, dallo sguardo carismatico, Edgar  può vivere negli agi e studiare, ma non riesce a terminare gli studi universitari per colpa dell’alcool e dei debiti di gioco. Inizia un degrado continuo intervallato da momenti di lucidità durante i quali scrive dei suoi incubi, delle sue visioni. “Cosa viene prima, la letteratura o la realtà ? Cosa viene prima la paura o la parola?” si chiede Nikolaj Frobenius.
 Poe sposa una sua cugina di appena 14 anni che, ammalata di tisi muore dopo una decina d’anni dal matrimonio ; egli l’ama moltissimo e il dolore per la sua perdita lo fa precipitare nell’annichilimento assoluto. Muore di delirio tremens , a soli 40 anni, nel 1849.
La sua vita sembra un’ubriacatura esistenziale, la sua lettura del mondo è quella del sotterraneo, dell’inconscio di cui scopre i segreti più inquietanti. Prima di Freud e di Jung fa emergere nei suoi scritti l’inconscio collettivo saturo di simbologie paurose  e magiche. Il lettore che entra nei suoi racconti in prima persona viene risucchiato e sprofondato nelle sue visioni. Il lettore diventa Poe. Egli ci descrive il mondo che vede: pauroso e distruttivo. “I confini tra l’onirismo e la dimensione ordinaria si confondono sempre più.”
In questo libro l’antagonista, Rufus Griswold prova attrazione e repulsione verso Poe . Pensa che  “…quello che scriveva Poe non era degno di persone rispettabili. Scriveva godendo della paura, si crogiolava nel dolore e nella decadenza, senza Dio, senza morale…doveva combatterlo, eliminarlo e ridicolizzare“.
Edgar Allan Poe diventerà invece un maestro per Baudelaire che lo traduce ; di Conan Doyle e le sue avvincenti storie misteriose; di Jules Verne; verrà preso come simbolo da tantissimi gruppi musicali, da registi vari; il famoso film “Il corvo” è ispirato  alla sua omonima celeberrima poesia. Nel libro che io ho  letto pochi giorni fa “Un’Inquietante simmetria” che parlava di fantasmi, ricordo che gli spettri dal cimitero di Highgate facevano spesso voli liberatori  sul dorso  di corvi…
In questa biografia romanzata si parla però delle reali sofferenze di povertà , malattie e delusioni di Poe e della giovane moglie Virginia Eliza. Si raccontano i pochi anni buoni vissuti a New York e a Richmond, si racconta di omicidi che copiano i suoi racconti dell’orrore. Primo fra tutti “I delitti della Rue Morgue”  (ricordo ancora quando mia mamma lo lesse e entusiasta me lo passò…l’aveva trovato bello ed originalissimo! beh…si parla dell’orangutango che uccide barbaramente due donne… ! )
Il personaggio di Samuel è invece inventato: un servetto nero albino, nè bianco, nè nero, che adora Edgar e che di nascosto lo segue per farlo diventare famoso…è lui che copierà fedelmente gli assassinii misteriosi e cruenti dei suoi racconti. Ed è  lui che rappresenta il “doppio” dell’animo turbato dello scrittore. Questa paura della propria dualità , una delle quali imprevedibile ed oscura,  viene raccontata magistralmente nel suo racconto “William Wilson” che termina con l’altro se stesso che gli bisbiglia: “…tu esisti in me, e con la mia morte; guarda con questa immagine che è la tua, come hai definitivamente ucciso te stesso”.Â
Ma di Poe e della sua opera, difficilmente classificabile in un genere, si dovrebbe parlare a lungo.
Ognuno di noi ha paura di qualcosa, basta capirlo per esorcizzarla…ai miei alunni facevo scrivere un “Quadernetto dei pensieri”,e alle classi prime assegnavo sempre un titolo “Le mie paure”. Molti scrivevano: paura del buio, dei serpenti, dei topi, dei ragni, dell’abbandono dei genitori , ma uno una volta scrisse …paura della paura.
La domanda d’obbligo è: quali le nostre paure? Amaimo i racconti horror e inquietanti?
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I TRE MOSCHETTIERI, e il brivido dell'avventura
pubblicato da: admin - 10 Aprile, 2010 @ 7:01 pmNon solo “Piccole donne” o “Jane Eyre” fra le mie letture adolescenziali, ma anche tanti romanzi d’avventura, fra questi uno dei miei preferiti : “I tre moschettieri” di Alessandro Dumas padre.  “Andare” nella Francia del 1625, alla corte di Luigi XIII e seguire le azioni rocambolesche di D’Artagnan, il Guascone che diventa il quarto moschettiere al fianco di Athos, Porthos e Aramis, mi entusiasmò immediatamente. Già da piccola con gli amichetti facevo i duelli con gli attaccapanni di legno urlando “In guardia, fellone”, ma quando lessi il primo volume della trilogia di Dumas rimasi affascinata dai quattro eroi fedeli al Re e alla Regina. Amavo particolarmente Aramis perchè era il più colto, aveva sempre pronta una citazione latina e  componeva poesie.
Ricordo ancora l’edizione  che acquistai nel solito negozio di oggetti antichi,  aveva un copertina lucida sul verde scuro, ma ne ho perso le tracce da parecchi anni. Prima che esso sparisse ho fatto però in tempo a rileggerlo più volte. Una cosa curiosa è che mio zio Alfredo (un carissimo zio di cui era la nipote preferita), prima di morire, oltre a donarmi due bei mobili, mi regalò l’intera sua collezione di libri di narrativa della UTET, tenendosene  uno solo…e sapete quale ? Proprio ” I tre moschettieri“! mi disse che lo amava troppo per separarsene.
In questo romanzo si parla di alcuni puntali di diamanti regalati dal Re alla Regina, ma che quest’ultima  ha donato al duca di Buckingham. L’ambiguo e losco cardinale Richelieu lo sa e per creare zizzania propone a Luigi XIII di organizzare un ballo di corte insistendo affinchè la moglie per l’occasione  esibisca i puntali.  Gli intrepidi moschettieri accorrono in aiuto della Regina recuperando i preziosi, ovviamente  dopo mille peripezie e duelli.
E’ questo anche un romanzo storico perchè molti personaggi sono esistiti veramente, come i regnanti, il cardinale e il corpo dei Moschettieri, e persino un D’Artagnan che ha scritto “Memorie di D’Artagnan, capitano della prima compagnia dei Moschettieri del Re.” Ma nasce come romanzo d’appendice perchè  pubblicato a puntate sul giornale “Le Siècle”. Viene infine  dato alle stampe come volume nel 1844.
Naturalmente ho visto tutte le edizioni cinematografiche ed ogni volta ho partecipato commossa all’: “Uno per tutti! Tutti per uno”
Credo che sia rilassante, di estrema evasione leggere i libri di avventura. Nel mio primo scaffale di ragazzina c’erano anche “I viaggi di Gulliver”, “L’isola del tesoro”, “Robinson Crusoe,” “ Il Conte di Montecristo”…ma di questi possiamo scrivere un’altra volta.
Chissà quale moschettiere preferite e perchè; se amate questo genere; quali libri d’avvenura vi sono rimasti in mente…
RACCONTI, di Katherine Mansfield
pubblicato da: admin - 9 Aprile, 2010 @ 6:57 pmKatherine Mansfield amava la vita appassionatamente, ma il destino la fece morire di tubercolosi a soli 34 anni, nonostante tutte le cure per guarire, fra cui soggiorni sulla Costa Azzurra e un ultimo tentativo in un’alternativa colonia salutista diretta da un russo.
 Nata in Nuova Zelanda nel 1888, giovanissima si trasferisce in Inghilterra dove comincia a scrivere storie comuni di persone comuni. Fa emergere subito il senso di precarietà della vita, ma proprio per questo ne consegue la percezione immaginifica di intensi attimi sia di gioia che di sgomento. E di felicità improvvisa, come uno squillante fiorire di esotici fiori.
I suoi racconti hanno come titolo “Felicità “, “Preludio”, “Garden Party”, “Miss Brill”…quest’ultimo racconta in poche pagine la vita semplicissima di un’insegnante di inglese a Parigi che si accontenta di domeniche ai Jardins Publiques  perchè può indossare la sua pelliccetta, di sedersi in solitaria osservazione del mondo circostante su una panchina “speciale”, di gratificarsi, tornando a casa , acquistando una fetta di torta al miele esultando se vi trova una mandorla. “Se c’era le sembrava di portarsi a casa un minuscolo regalo – una sorpresa -qualcosa che avrebbe potuto benissimo non esserci”. Ma la malinconia emerge nella solitudine di Miss Brill che non ha acquistato la sua fetta di torta abituale e si ritrova , senza nulla per cui gioire, nella sua minuscola stanzetta buia .
Katherine Mansfield adora entrare nella vita degli altri, ascolta tutti,  come se non sentisse, ma incamera ogni frase, ogni dettaglio.. Osserva in silenzio e un po’ in disparte assorbita dalle sue fantasie colorate che entrano in sintonia con il sentire degli altri. Partecipa senza però concedersi.
Lei è una creatura ardente, è come un giardino di fiori selvaggi, quei fiori carnosi e vermigli della sua nativa terra e che sembra continuino a fiorire nel suo cuore.Se si potesse paragonare a quadri lei sarebbe quelli di Van Gogh. Vuole emozioni, è avida di sensazioni. Le giornate banali la deprimono “i giorni che non valgono la pena di essere vissuti” quelli in cui non accade nulla che ti accenda.
Percepisco anch’io delle giornate grigie, io le chiamo le “flinghe” come le carte che a briscola non valgono niente. Ma qui ci sarebbe tanto da discutere…non valgono niente perchè non arriva nulla dall’esterno? o perchè c’è il momento di stasi dentro di noi?…a volte una giornata solitaria può dare, grazie al lavorìo della mente e del cuore, entusiasmo e gioia, altre, piene di novità , possono invece rattristare.
Di Katherine Mansfield ho tanti libri, i suoi poemetti, i suoi diari, uno splendido saggio sulla sua vita e la sua arte, ma ne parlerò un’altra volta. Ora cito un altro bellissimo racconto di questa raccolta, “Preludio”, ambientato in Nuova Zelanda. La protagonistra è Linda Burnell nella quale si incarna l’adorata e lontana madre ma che rivela anche una parte della scrittrice che scopre, scrivendone, la sua identità . Capisce che anche in lei, come nella madre, esiste lo stesso occhio lontano, impartecipe, quasi come quello delle piante, dell’aloe …
Si parla di un trasloco, di matrimonio, di momenti particolari. Vi sono descrizioni coloratissime ” …un pezzo di sapone giallo e granuloso in un angolo del davanzale e un cencio di flanella macchiato di blu…” “…Stelle luminose screziavano il cielo e la luna stava sospesa sul porto spruzzando d’oro le onde.”
Nei pensieri serali di Linda nel suo letto  emerge la fame di vita della stessa Mansfiled, un desiderio insaziabile “Sì, tutto era diventato vivo fino alla più piccola particella, e lei non sentiva il suo letto, fluttuava sospesa nell’aria. Ma sembrava che stesse in ascolto con gli occhi splancati e vigili, che aspettasse qualcuno che non veniva, qualcosa che non accadeva.”
SOGNI A OCCHI APERTI, e il potere della fantasia
pubblicato da: admin - 8 Aprile, 2010 @ 7:18 pmChiudere gli occhi  come Alice, affacciarsi alla finestra, prendere un pizzico di immaginazione e abbandonarsi al fluire della vita. Tracciare nuovi pensieri nella nuova giornata che può essere sempre una pagina bianca. E sognare, anche ad occhi aperti, come suggerisce la piscoanalista Ethel S.Person autrice di questo libro la cui  lettura mi ha consolato e  ha finalmente legittimato il mio “ mondo parallelo”. Da piccola mi sentivo in colpa quando mi chiamavano e …non “c’ero”, persa com’ero  nei miei castelli in aria. Mia nonna Bianca mi prendeva in giro da pratica massaia emiliana com’era! L’immaginazione è stata una fedele compagna in molte occasioni, nei momenti di noia,  prima di addormentarmi, persino quando lavavo i piatti ; la fantasia correva e mi trasportava in altri luoghi e altri tempi.
Lasciarsi trasportare dalla fantasia è un bene, rassicura l’autrice  “Le fantasie – sogni ad occhi aperti, castelli in aria, scenari mentali di ogni tipo – sono un potente filtro per la nostra esperienza del mondo esterno ed interno…la fantasia è essenziale quanto l’aria” .
Ethel S.Person scrive che seguire il filo delle proprie fantasie è basilare per plasmare la nostra personalità e il nostro percorso esistenziale. Gli scrittori hanno sempre attribuito all’immaginazione un ruolo primario ( ricordiamo le rovinose fantasie di Madame Bovary o l’autocreatività del Grande Gasby), mentre spesso la psicoanalisi ha dato più importanza all’inconscio. Sembra proprio che fantasticare ad “occhi aperti”, immaginare situazioni belle o risolutrici di conflitti, liberi dall’angoscia e ci protegga da azioni precipitose. “La fantasia è un teatro nel quale assistiamo ai possibili scenari della nostra vita a venire”.
Non un’inutile distrazione o un rimpiazzo della realtà , ma la fantasia è la capacità mentale di pensare a possibilità , a contemplare alternative, quindi è creatività !  L’immaginazione è spesso considerata la dote umana per eccellenza. Evviva quindi i sognatori !
Nella sua precisa analisi Ethel S. Person ci spiega quali possono essere i principali sogni delle donne: senz’altro sognare del Principe Azzurro, di una futura famiglia , di riscattare qualcuno di sfortunato. Ricordiamo Jane Eyre e la sua dedizione al signor Rochester diventato cieco. Una mia fantasia di questo genere era quella di “salvare” la piccola fiammifferaia, portarla a casa al caldo, nutrirla e farla stare con noi.
In queste pagine vengono spiegati anche casi clinici in cui le fantasie sono lo strumento per comprendere il malessere psicologico. Un libro interessantissimo dunque per capire i misteri della nostra mente.
Un altro capitolo parla di idoli e identificazioni come schemi di partenza per i sogni ad occhi aperti. Ecco Batman, Wonder Woman, ma anche Rossella O’Hara. E personaggi reali come Jacqueline Onassis e Sylvia Plath. “Tramite l’identificazione, ciascuna razionalizza la propria tristezza, nobilitandola in qualcosa di romantico…”
Quali i vostri sogni ad occhi aperti?
Vorrei comunicare ai miei lettori che la mia video intervista si può vedere al seguente URL:
http://www.trentoblog.it/?page_id=28165
Si parla ovviamente di LETTURA!