MARIO RIGONI STERN, un grande uomo di montagna

pubblicato da: admin - 16 Giugno, 2010 @ 11:00 am

stor_13219336_07490RigoniStern1 Scrive Luigi:

Continua, a sorpresa questa volta, la mia partecipazione attiva al blog. Spero che il risultato finale sia apprezzabile e soddisfacente, anche se il pezzo l’ho scritto velocemente e non con la calma e metodicità che sarebbero necessarie.

Oggi, 16 giugno, ricorre il secondo anniversario della scomparsa di un grande scrittore (parlo personalmente), ma soprattutto di un grande uomo: Mario Rigoni Stern. Consiglio preliminare: per chi non l’avesse visto, stasera verrà trasmesso su La7 alle ore 21 “Il Sergente”, ad opera di Marco Paolini. Il racconto de “Il sergente nella neve” in chiave “paoliniana”, che merita di essere visto.

Per questo intervento però, più che parlare di un suo libro -cosa che, a mio avviso, vorrebbe dire sminuire la sua grande produzione letteraria-, ho pensato di parlare appunto di Mario Rigoni Stern uomo. Scrisse molto (“Il sergente nella neve”, “Stagioni”, “Storia di Tönle”, “L’ultima partita a carte”, “Le stagioni di Giacomo”, “Il bosco degli urogalli” solo per citarne alcuni), ma quello che più mi colpisce è la persona: di origine montanara e di famiglia non ricca, però dallo spiccato senso della memoria, dallo stile di vita sobrio e semplice, molto saggio. Semplicità di famiglia, perché anche il suo bisnonno, come lui, volle dei funerali non sfarzosi: “I miei funerali siano semplici e modesti come quelli di un povero, non voglio che siano fatti sperperi né dimostrazioni di sorta…”.

Uomo di montagna che viveva con la montagna, cosa che probabilmente riuscì a salvargli la vita nella tragica Ritirata di Russia del ’43, riuscendo a riportare “a baita” anche parecchi suoi commilitoni, quale il tenente Nelson Cenci, diventato suo amico fraterno una volta ricongiuntisi a fine conflitto. “Sergent majùr, ghe rivarem a baita?” gli chiedevano gli ignari soldatini italiani sul fronte del Don.

Doveva scrivere anche per chi, per povertà di mezzi o morte prematura, non aveva potuto farlo , doveva ricordare anche per tutti i dimenticati. Anche lui aveva fatto suo il verso di Ungaretti “nel cuore nessuna croce manca”. Amava definirsi “narratore che racconta quello che ha visto e vissuto” più che scrittore. Amava comunque le arti e la musica, i classici latini e greci, Dante, Ariosto e Leopardi, i grandi russi dell’800, Hemingway.

Lo rendeva felice il pensiero che i suoi libri potessero tenere compagnia, invitare alla riflessione e a ragionare con la propria testa. L’amore per la storia, la volontà tenace di preservare memorie e ricordi si univano in lui a grandi curiosità e capacità di comprensione nei confronti di culture e mondi diversi dal suo. Cantore dell’altipiano sì, ma anche cittadino del mondo.

 

Mario Rigoni Stern, per me che abito in montagna, portava e porta avanti una cultura sana e giusta, che si deve a nostra volta fare propria per riportarla avanti e farla conoscere a chi non l’ha conosciuta direttamente. Cultura uguale a quella di un altro grande montanaro di cui condivido in pieno il pensiero, ed anche amico di Rigoni Stern: Mauro Corona. Nell’ultima lettera a Corona, gli scrive: “Me racomando, va en montagna anca par mi”. Andiamo in montagna, vado in montagna anche per lui, cultore di una mentalità che rischia di scomparire.

Poiché il tempo passa e quello perduto non ce lo restituisce nessuno, ai giovani amava ripetere: “Non perdete tempo in cose futili se non volete soffrire di rimpianti grandi. Rifuggite banalità e conformismi. Leggete libri e innamoratevi”. Poche parole, ma destinate a rimanere dentro per sempre.

 

Il 16 giugno 2008 Mario Rigoni Stern se n’è andato per sempre, ma non è scomparso. Quando ci fermiamo a guardare una meraviglia della natura o un duo piccolo sfuggevole dettaglio, quando siamo incerti su una decisione che mette in gioco il nostro senso morale, quando ci chiediamo quale sia davvero il senso del nostro vivere inquieto, ricordarlo, rileggere le sue pagine, può farci sentire meno soli. È questo il suo dono più grande.

(con spunti dall’articolo di Giuseppe Mendicino – Vita Trentina)

 Grazie  a Luigi Oss Papot del suo scritto pieno di passione.

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SENNO E SENSIBILITA', "l'un contro l'altro armati"

pubblicato da: admin - 15 Giugno, 2010 @ 5:46 pm

scansione0014Mi piace continuare il discorso  su amore, matrimonio, ragione e sentimento perchè credo che questi siano gli aspetti  più importanti della vita, e non  esclusivamente per le donne.

Sense and sensibility” di Jane Austen iniziato a scrivere nel 1797, racconta come l’assennatezza abbia la sua rivincita sugli eccessi sentimentali. Siamo nel periodo dell’Illuminismo, del Neoclassicismo in opposizione al nascente Romanticismo.   Le due contrastanti visioni della vita sono  personificate nelle due sorelle: Elinor, equilibrata, di buon senso che segue sempre i dettami della ragione in ogni occasione della vita, l’altra, la palpitante Marianne che si abbandona agli impulsi del cuore.

Jane Austen sappiamo parteggia per Elinor, lei stessa è una saggia rappresentante del suo ceto sociale e del comportamento adeguato e senza eccessi. Il Romanticismo che va affermandosi è considerato dalla scrittrice con ironica condiscendenza. Anche per quanto riguarda il matrimonio, pur disprezzando quelli di convenienza, ci fa capire che è importante che ci siano basi concrete come una discreta rendita oltre naturalmente un intelligente e disciplinato rispetto delle regole.

Ma noi lettrici amiamo molto anche la passionale e romanticissima Marianne  che si ammala d’amore per il libertino Willoughby. Da ragazzina Marianne era la mia preferita, ora lo è Elinor. Ragione nell’età matura? Sensibilità estrema nella giovinezza?

Abbiamo letto che le giovani  ragazze de “Il meglio della vita” sono eccessivamente sentimentali. Marianne però  riacquista presto la “ragione” e si adeguerà al vivere tanquillo e convenzionale accettando di sposare il pacato e maturo maggiore.

Anche in questo romanzo l’evento principale della vita femminile è dunque il matrimonio, ma siamo alla fine del Settecento. Oggi, come scrive Enza, la donna non è più obbligata a sposarsi  per avere un ruolo sociale o la sicurezza economica, oggi  può  credere maggiormente in se stessa, avere più autostima  e scegliere il  tipo di vita a lei più congeniale..

Sense and sensibility“, meglio il titolo in inglese che la traduzione di questa edizione, prende un po’ in giro la moda romantica e l’entusiasmo per la bellezza pittoresca, di cui anche Keats fu portavoce .

Pur se la storia di Marianne sembra avere  un finale di  rassegnato ripiego, la Austen non ci trasmette sentimenti melodrammatici a proposito, anzi tutto risulta imperniato di realismo antisentimentale. La sua scrittura  delicata, precisa, il suo talento di acuta  osservatrice ci regalano la visione del suo mondo, un mondo saldo in cui il problema più significativo è quello di sintonizzare i vari rapporti con le persone intorno.

La prudente Elinor dice parlando del suo innamorato: ” Non voglio negare che lo apprezzo molto, che lo stimo profondamente, che mi è simpatico:”

Stima” Simpatia” sbotta indignata Marianne ” Che cuore di ghiaccio hai, Elinor” Oh, ma peggio del ghiaccio! Ti vergogneresti di non averlo così. Se userai ancora parole come queste me ne andrò immediatamente”

Jane Austen ha un delizioso sense of humour. Marianne rapita dalla bellezza autunnale esclama “Oh, che rapimento ho provato a veder cadere le foglie secche! Che delizia vederle volteggiare intorno a me, spinte dal vento! Quali sentimenti mi hanno ispirato quelle foglie….”

Replica Elinor ” Non sono molti ad avere una passione come la tua per le foglie secche”

Confesso che in autunno al cadere delle foglie io mi comporto sempre da Marianne!

P.S.

Domani, in occasione dell’anniversario della morte di Mario Rigoni Stern, ospiterò nel blog un post che Luigi ha scritto per  rendere omaggio al grande scrittore .

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IL MEGLIO DELLA VITA, e i sogni della giovinezza

pubblicato da: admin - 14 Giugno, 2010 @ 7:14 pm

scansione0013scansione0012New York 1952.

 Il cuore pulsante di una città che incanta e che ha incantato milioni di persone. La città  moderna per antonomasia. In questo lungo romanzo troviamo la storia di alcune ragazze che fanno di New York il trampolino eccellente per la conquista del meglio della vita, ” the best of everything”. 

Roma Jaffe inizia con una “fotografia” del cuore di N.Y, Manhattan,  in  una gelida mattina del gennaio 1952 quando centinaia e centinaia di ragazze  si affrettano  dalla Grand Central Station per la Park Avenue o  la Quinta Strada per raggiungere  il loro ufficio. Si guardano, si riconoscono, si sentono parte  delle privilegiate: sono vestite nello stesso modo, pettinate e truccate come si deve fare a NewYork. Sono piene di energia, aspettative, ambizione.  Tutte hanno fretta.

Beh, devo dire che a N.Y. bisogna camminare velocemente, anche con gli enormi bicchieri di caffè in mano (Cinzia preparati!) altrimenti si è un po’ d’intralcio. Cionostante io qualche estate fa in Times Square mi  “accasciai” su alcune assi di legno e per la stanchezza, per la confusione e per il caldo (mentre Stefania continuava a dire  “siamo nel  cuore di Mahattan, nel centro del mondo”…) 

 Da ragazzina invidiavo le ragazze di New York, quelle che vedevo nei film come  “Colazione da Tiffany. Poi dopo aver letto su “Arianna” (una rivista femminile dei miei tempi)   un reportage sulle ragazze sole che lavoravano  a New York, i miei sogni ad occhi aperti ebbero un’accelerazione. Mi ero fatta fare dalla sarta persino un cappotto uguale a quello indossato dalla ragazza intervistata. Come mi sarebbe piaciuto avere un appartamentino solo per me, essere alla moda, frequentare i locali più eleganti come El Morocco…fermarmi come Audrey Hepburn davanti alle vetrina di Tiffany.

Leggendo questo libro,  prestatomi da  Valentina,  ho ritrovato parte dei miei sogni di allora. Qui si parla di Caroline, vent’anni, che dopo una delusione d’amore sembra investire  tutto  il suo potenziale nel lavoro. Nella casa editrice in cui è dattilografa e poi redattrice  conosce altre ragazze April e Gregg ; le tre diventano  grandi amiche in una sorta di speciale e complice  “sorority”. Ciò che mi ha colpito in questo lungo romanzo è l’onestà di Roma  Jaffe  nello descrivere l’animo  delle protagoniste. Riesce anche a fare una radiografia sincera dei tipi umani e delle situazioni che si creano in un ambiente di lavoro in cui le giovanissime vengono a trovarsi. Dirigenti maturi che corteggiano pesantemente le ragazze, delusioni sentimentali, rancori, tanti Martini e skotch… E’ comunque il pianeta femminile che ci viene raccontato, soprattutto nelle sue aspettative più profonde. Le sensazioni descritteci sono esaustive. Il meglio della vita alla fin fine per tutte queste ragazze è comunque …il matrimonio. Non lo sarà anche oggigiorno?

“Essere donna è un inferno” pensa Gregg “avere tanto bisogno d’amore, sentirsi una persona dimezzata, così debole. Che cosa aveva detto Platone? L’uomo e la donna sono incompleti fino a che si uniscono. Perchè non aveva cercato di chiarire meglio questo concetto agli uomini?”

Gregg e April incontrano uomini che hanno una concezione diversa dell’amore ed esse  non sanno reagire con dignità al rifiuto,  ma elemosineranno pateticamente un amore che non viene corrisposto.

Spero che le ragazze d’oggi non facciano così e che non investano tutto il loro potenziale umano, di identità, di percorso esistenziale  nel matrimonio fine a se stesso. Ma è inutile dirlo perchè ogni persona  impara con l’esperienza.

Diceva Simone de Beauvoir “Si jeunesse savais, si vieillesse pouvait”, se la giovinezza sapesse….

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POESIE di EMILY BRONTE

pubblicato da: admin - 13 Giugno, 2010 @ 8:41 pm

scansione0011“Poesia, amica mia” scrivevano i miei alunni alla ricerca di rime baciate durante le nostre ore di laboratorio poetico. Ancor più di un romanzo la poesia mi consola, mi abbraccia, mi fa volare. E dopo il pomeriggio di preoccupazioni per Stefania lontana (ridimensionate  fortunatamente), (- un pomeriggio da cani – oserei dire ), stamattina un po’ traballante per le poche ore di sonno –  ci mancava anche il temporale notturno -  voglio tuffarmi nella poesia. E poesia che mi porti …via. Per stare con un’altra rima facile.

Ed Emily Bronte con il suo intenso vivere nel mondo dell’immaginazione, con il suo essere ancora bambina, ci porta nel mondo di Gondal dove può inventare grandi eventi, sentimenti appassionati   e forti sensazioni  che non trova nella sua monotona vita quotidiana.  Ama creare un mondo parallelo in cui immergersi mentre conduce la sua solita vita nella canonica di Haworth nello Yorkshire. Nel 1845, a ventisette anni, scrive sul diario di aver ingannato il tempo mentre era in  viaggio con sua sorella Anne “giocando” a fingersi personaggi gondoliani in fuga dalle prigioni…

Beh, qui devo aprire una parentesi personale. Insieme a me e Giuliana, a Londra e poi a Monaco c’era anche Guerrina che abita a Forni di Sopra nella Carnia. Nell’inverno del 1970 sono stata sua  ospite per 15 giorni.  Che triste la montagna d’inverno! Eravamo sole, faceva molto freddo, non sapevamo che fare se non qualche passeggiata diurna , di sera neanche a parlare di uscire, un solo bar quasi osteria, buio,  niente  televisione…insomma alla sera accanto al fuoco acceso ho cominciato a inventare un mondo parallelo che piaceva a entrambe: il Canada delle Giubbe rosse. Noi le loro amate li seguivamo,  avevamo un sacco di avventure pericolose  nei boschi, tra alci e affini. L’immaginazione galoppava come i cavalli dei nostri eroi…Naturalmente molto spesso si finiva sul comico…

Il mondo di Gondal è medievale, la sua regina Geraldine  ama il principe di Angora  che poi  morirà. Poesie epiche in questo grande affresco in cui si sente l’influsso del poeta scozzese David Moir, Shakespeare,  Scott,  Dumas, Byron, Shelley …Per Emily, che in fondo è la più casalinga delle sorelle, sembra basti la sua vita parallela per allargare i confini della propria esistenza. Sua sorella Charlotte ce la descriverà  come una creatura appassionata e forte dall’anima grande e da un grande anelito verso la libertà . Ma come Emily Dickinson non è oltrepassando i confini della sua dimora che riesce a trovarla, è scavalcando quelli della sua mente. Per soddisfare l’ardente “violenza” della sua natura non ha bisogno di tuffarsi nel mondo reale che la delude e la spaventa, ma  deve evadere in un mondo epico creato con la sua fantasia. La sua poesia epica nasce proprio dai giochi inventati con le sorelle e con il fratello Patrick quando quest’ultimo riceve in dono una scatola di soldatini. Ognuno dei bambini si appropria di uno e lo farà recitare inventando nome, condizione, vicende . Play in inglese sifnifica sia giocare che recitare. Per Emily diventa una necessità. Può modellare a piacere un suo mondo che procede di pari passo con quello quotidiano.  Può farsi trasportare da Haworth a Gondal con l’immaginazione. Può partire dalla brughiera dietro casa illuminata dalla luna ed arrivare sulle sponde immaginarie del lago di Elnor dove il suo alter ego Geraldine piange la morte di Alexander signore di Elbe.

Splende la luna nel meriggio notturno / visione gloriosa – sogno di luce ! / Sacra come il cielo – limpida e pura, / alta sopra la landa solitaria….e dopo questo incipit realistico v’è uno spazio bianco e ci si trova improvvisamente a Gondal “Luna lucente – luna amata! Trascorsi gli anni / tornano infine i miei passi stanchi – / e il tuo raggio sereno ancora riposa / solenne sulle acque dolci del lago / e ancora l’onda sospirosa delle felci / piange sulla tomba di Elbe…/.

Le poesie epico-narrative scrive  Anna Luisa Zazo, curatrice di questo volumetto appaiono superate nel loro pseudomedievalismo e nel romanticismo troppo melodrammatico, ma Oscar Wilde  parla delle sue poesie come “pregne di forza tragica che spesso sembrano sul punto di diventare grandi”.

Emily è giovane non così ingenua come sua sorella Charlotte crede, è soltanto immatura legata com’è ancora al mondo dell’infanzia. La Zazo trova echi di corrispondenze tra Emily Bronte e Rimbaud, entrambi poeti dell’adolescenza, lei per età caratteriale, lui per età anagrafica. Adolescenza difficile come tutte, ma senz’altro più ricca.

Per Emily abbandonarsi all’immaginazione, al “dio delle visioni” sembra quasi un’esperienza mistica, certamente  abbandonarsi con passione al vento, alla notte, alle stelle, immergersi e fondersi con la natura è un’esperienza  panteistica, immanentistica.

“Cime Tempestose” proseguimento del mondo di Gondal, ci si chiede? Forse tematicamente sì, proprio  nel deflagrare della più  completa irruente immaginazione.

In questo libro ci sono anche le poesie personali, versi ispirati in gran parte dalla brughiera che aveva intorno a sè.  “Piegata da un vento di tempesta erica alta oscillante / mezzanotte chiarore lunare luminose stelle/….

Ero sola il giorno d’estate / moriva di una luce ridente / l’ho visto morire l’ho guardato svanire / da colline di nebbia e boschi senza vento. / E nel mio animo si affollavano i pensieri / e il cuore si piegava al loro potere…”

La consolazione, la salvezza, il rifugio per Emily stanno dunque nel tuffarsi nell’immaginazione “ Sì’, mentre sognavo, la stanza nuda / la luce incerta d’un tratto svanirono / e da una buia oscurità senza gioia / entrai nel pieno fulgore del giorno”

“Sì, vieni , Fantasia, mio amore fatato! / Sfiori il tuo bacio la mia fronte ardente; / chinati sul mio letto solitario / portatrice di pace, portatrice di gioia. “

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UN GIORNO DA CANI, di Melania G. Mazzucco

pubblicato da: admin - 12 Giugno, 2010 @ 5:49 pm

scansione0010Grazie degli intrecci di consonanze che leggo nei commenti.

Libri “galeotti” anche per noi amiche in carne e ossa (molta  carne per quanto mi riguarda), e amiche , per ora, virtuali. Attraverso le nostre scelte e  i nostri gusti ci conosciamo meglio perciò credo che la lettura, questo atto molto intimo nell’approccio, possa diventare condivisione. Grazie Raffa che hai aggiunto quella bellisssima frase al post di Marques. Il mio entusiasmo, ancora un po’ infantile a questo riguardo, ne è accresciuto!

Mi fa piacere che Camilla abbia vinto un libro grazie a Fahrenheit, bellissima trasmissione che un tempo, a.Blog, seguivo anch’io. Il libro di Vargas Lllosa è veramente stupendo. Prendo sempre appunti quando leggo qualche titolo nuovo. Cercherò in bliblioteca “Resta con me” di Elizabeth Strout.

Ah, la Biblioteca di via Roma! Come farei senza di essa? Quasi tutti i giorni ritaglio momenti di puro piacere e vado a curiosare nei libri appoggiati sul bancone o sul tavolo dell’ingresso. Ieri ne ho presi tre…così le  “ letture in corso” sono aumentate. Ma  Ema, l’altra sera mentre bevevamo un aperitivo nella ventilata Piazza Duomo, mi ha  parlato di un piccolo libro di Melania G.Mazzucco, bello e terrible. Preso in prestito proprio dalla Biblioteca. Ieri mattina mi ha mandato un sms dicendo che lo aveva appena riportato. Che fare?

“ E’ come invitare un tedesco a bere la birra” diceva mia mamma quando le si proponeva una cosa che le piaceva molto. Dopo il solito coffee del mattino con una cara amica sono entrata nel  mio “santuario” preferito …e  vi trovo sia il libretto in questione che altri tre…

Ieri sdraiata sul divano ho letto  in un’oretta”Un giorno da cani“. Scritto benissimo, ma la fine mi ha sconvolto perchè si parla di un cagnolino maltrattato (Cinzia non leggerlo!)…quasi quasi non avrei voluto scriverne per non pensarci. Ma giustamente Ema aveva sottolineato  le importanti  tematiche esistenziali e sociali su cui riflettere.

C’è Ljudmila Redka, un ingegnere meccanico dell’est, venuta in Italia a fare la badante e poi la colf presso una ricca famiglia dell’Olgiata,  per aiutare soprattutto i figli rimasti in patria, figli che ormai non le scrivono neppure. E’ in Italia da quasi vent’anni. Ha cinquatacinque anni “ era  robusta, coi capelli chiari sfibrati e due occhi azzurri pallidi spersi in un viso piatto, che sembrava essere stato schiacciato dalle avversità. A vent’anni era stata graziosa, ma ormai era passato troppo tempo, e non giudicava nè verosimile, nè auspicabile essere ancora seguita, desiderata e corteggiata da un uomo.”

Invece un insistente seppur rispettoso ammiratore ce l’ha: è  Khaled un quarantacinquenne dall’aria di dittatore mediorientale che vorrebbe sposarla. Quando stanca dei suoi appostamenti al mercato,  Ljudmila lo affronta di fronte a una piramide di cozze morte “Ma che cosa vuole?” Khaked seriamente risponde : “Onorarla, amarla, renderla felice, bella signora”.

Speravo in un happy end, in una sorta di compensazione per i più sfortunati, ma la realtà è più dura. Khaled vorrebbe  sposare Ljudmila  per cambiare vita, non rubare più, non  continuare a vivere in una baracca di lamiera lungo il Tevere…Il finale di questa “moderna odissea, ironica e dolorosa, di donne, uomini e cani” si conclude proprio in “un giorno da cani “tra la distratta indifferenza di chi si muove intorno ad essi.

Tutto questo in un volumetto viola,  “Corti di carta”  di  appena 92 pagine, regalato dal Corriere della sera, nel 2007.

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L'AMORE AI TEMPI DEL COLERA, di Gabriel Garcia Marques

pubblicato da: admin - 11 Giugno, 2010 @ 6:19 pm

amore-ai-tempi-del-colera[1]La scelta del libro di oggi è stata dettata dal clima caraibico che ho in casa (non dal colera). In questi pomeriggi languidi mi sembra di percepire l’umidità della Colombia, scenario del romanzo,  di sentire i pappagalli colorati, di vedere fiori tropicali…mi sembra persino di gustare  sapore e profumo  di vaniglia, di mango e  di platano …potenza dell’immaginazione. In questa sorta di obnubilamento sono preda di immedesimazione temporale e geografica!

Credo che tutti conosciate questo romanzo, una storia  d’amore che si concluderà felicemente dopo cinquantatre anni. Florentino Ariza un telegrafista si innamora  immediatamente e perdutamente della bella Firmina  Daza alla quale comincerà a scrivere lettere e versi d’amore. Lei corrisponde, ma il padre riuscirà a farla sposare ad un affermato medico.

Le loro vite vengono raccontate da Marques con la sua scrittura  trasognata, fluida, immaginifica. Leggiamo di avventure rocambolesche, di amanti, di litigi coniugali, di epidemie, di fortuna negli affari…per giungere alfine a ciò che Florentino ha sempre atteso con caparbietà, sicurezza e  ferma speranza…l’amore di Firmina. E i due ultrasettantenni, grazie al colera, rimarranno a lungo sulla piccola nave a celebrare  finalmente il loro paziente amore.

Scrivo poco della trama, su Internet ci sono tantissime informazioni  e recensioni sui romanzi  in libreria. Il mio blog ha il precipuo scopo di  condividere ciò che la lettura suscita in me.  Parlo di riflessioni, ricordi, concordanze, emozioni, fugaci stati d’animo e persino fisici come è stato per questo titolo.

Mi accorgo di essere arrivata al post n.144, giorno dopo giorno. E’ ovvio che non posso, e per il  caldo, e per la mia piccola vita che deve continuare tra amiche care, riunioni serali, passeggiate, cinema e lettura, stare troppo tempo al computer.

Vi confesso che scrivo di getto, a scapito della forma, ma preferisco non soffermarmi per più di un’ora mezzo. Talvolta scrivo al mattino quando è più fresco e spedisco alla sera, oppure nel tardo pomeriggio… ma a quest’ora c’è il risveglio di Mimilla e il suo desiderio di giocare.

I libri che scelgo sono sempre dettati da onestissime intermittenze personali. Mi piace collegare il mio vissuto quotidiano con libri di tutti i generi. I libri che preferisco sono quelli che sono o  diventeranno miei “amici”per sempre.

Sono molto soddisfatta dei riscontri che ho, non solo attraverso i  vostri commenti scritti, ma anche attraverso quelli a voce. Tante amiche e conoscenti che incontro, o che telefonano  dicono che mi leggono; proprio l’altra sera Ema  ha ribadito che i miei post le danno serenità; Renata me lo sottolinea ogni volta che ci sentiamo, mia nipote valtellinese prende spunti su cosa  leggere ( “Fla’ potresti anche scrivere!”)… quindi riesco a dare un incentivo alla lettura. La mia indole ne è appagata…

Concludo parlando ancora di gatti : primo, sono contenta che Camilla mi veda come una gattina fulva …così mi vede anche la mia Mimilla che mi tratta come una sua simile …poi vi consiglio di leggere proprio il commento di Camilla sul suo gatto Michele e quello di Maria Teresa su Dorian nel post “Vivere felici con un gatto.” Infine sempre alla fine di questo post c’è la storia di  Neela, la cagnolina di Cinzia….da non perdere.

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AMSTERDAM, e la stupidità umana

pubblicato da: admin - 10 Giugno, 2010 @ 6:15 pm

scansione0009L’autore è Ian McEwan famoso anche per “Espiazione” da cui è stato tratto un film di grande successo. Amsterdam ha vinto il Booker Prize nel 1998, anno della sua pubblicazione.  Dapprima non riuscivo a capire la scelta del titolo, ma ben presto tutto si è chiarito. Amsterdam  è il “palcoscenico ideale di una buffa e terribile resa dei conti”. Si vedrà come.

 Ian McEwan definisce  il suo libro “Un romanzo sull’ambizione, sul tradimento e sulla stupidità umana”. La vicenda inizia al funerale di Molly, una donna amata da molti, la cui morte crudele e umiliante suscita nei suoi amici ed ex-amanti sgomento, paura, panico. Ed è proprio la paura di perdere le facoltà mentali come è successo a Molly che farà stringere a Clive e Vernon un patto di mutua assistenza in caso di malattia fulminea e degenerativa. Entrambi pensano ad Amsterdam dove l’eutanasia è legale. L’incontro con la  morte di qualcuno a noi caro rallenta il fluire quotidiano e porta a meditare. Clive, compositore di successo, sta ultimando la Sinfonia per il terzo millennio ma è distratto da pensieri cupi. Ripensa al passato con Molly, donna  sensuale, vitale, anticonformista, sposatasi con George che è riuscita ad averla finalmente tutta per sè negli ultimi mesi di malattia quando lei non poteva più reagire o decidere qualcosa.

Lasciò il pianoforte e si versò del caffè…Molly ormai era cenere…Clive aveva deciso di lavorare tutta la notte per poi dormire all’ora di pranzo. Non c’era molto altro da fare. Si fa qualcosa, e si muore.”

McEwan descrive magnificamente con una struttura stilistica dei romanzi classici alcuni rappresentanti della generazione della passata età dell’oro, quella del Rock and Roll, quella degli ideali alla portata di tutti : Clive, Vernon ora direttore di un giornale che si trova in brutte acque , Julian Garmony ministro degli esteri accomunati dalla passata relazione con l’amatissima Molly. Ora siamo negli anni ’90 e ogni ideale sembra perso o inaridito.  Dopo il ’68 sono iniziate le delusioni , una sorta di spaesamento, un arido ripiegamento su di sè .  “Durante un momento di inconsueta tranquillità della mattinata, a Vernon Halliday capitò di pensare che forse non esisteva.”

Un’occasione ghiotta si presenta a Vernon quando George gli porta a vedere foto molto compromettenti di Garmony, foto scattate dalla trasgressiva Molly in momenti  sensualmente liberatori. Si può distruggere un uomo politico spregevole, odiato, attaccandolo? Vernon non ha dubbi morali. Lo vuole fare con gioia vendicativa. Ma tutto si ritorcerà contro di lui.

Clive  giudica negativamente l’ operato di Vernon, come mancanza totale di etica,  ma egli stesso non aiuterà una donna in pericolo per non distogliersi dalla sua ispirazione musicale, mentre passeggia ai Grandi Laghi.

Riflessioni pessimistiche o realistiche? A chi vogliamo raccontarla, sembra suggerire McEwan, che siamo buoni? Dalle disgrazie altrui  ci si rinvigorisce: quando Clive legge sul giornale che Vernon è stato costretto a dare le dimissioni dal giornale per l’affare Garmony, sembra rinascere dopo le fatiche lavorative, la vita gli sembra più bella, sente l’arrivo della primavera…sensazione che durerà poco perchè  la polizia gli chiederà  la testimonianza per l’aggressione di una donna ai Grandi Laghi. E’ Vernon che lo ha denunciato…

  Clive riesce comunque a raggiungere  Amsterdam per la presentazione della sua opera sinfonica. Vernon lo raggiungerà per riavvicinarsi in una sorta di rapporto, di odio, di complicità distruttiva … e il finale sarà grottesco, amaro, ironico.

McEwan, come un chirurgo dall’affilato bisturi, scava nelle pieghe più oscure, nelle inconfessabili debolezze dell’animo umano. Ambizione, egoismo, affermazione aggressiva di sè  rappresentano “il deserto morale di fine millennio”?

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LA CASA DELLE SORELLE, di Charlotte Link

pubblicato da: admin - 9 Giugno, 2010 @ 8:15 pm

Noto che le mie riflessioni girano un po’ in tondo. Sarà il caldo? Sarà l’idea che dovrò presto cambiare casa? Fatto sta che dopo aver letto delle emozioni di Gary sulle cose trovate nella vecchia casa dei  suoi genitori, sto ripensando a ciò che  proverò io invece quando  dovrò ancora una volta spostare mobili, quadri, libri, lampade…  Ormai le scoperte un po’ misteriose del passato familiare, se ci furono, si sono spezzate in vaghi lacerti, in ricordi densi ma confusi.  Dalla casa di Merano, alle cinque di  Carpi, allo smantellamento dell’appartamento dopo la morte dei miei…quanti oggetti persi, gettati, alcuni miei  personali sono addirittura in fondo all’Atlantico…  la nave da crociera dove lavoravo come hostess infatti naufragò nel luglio 1970. Ricordo che se nel periodo successivo quando mi capitava  di cercare una cosa -un abito, un bijou, una spazzola – e non lo trovavo…esclamavo “sarà affondato” .

Per questi miei tanti spostamenti ho un rapporto particolare e un po’ distaccato con gli oggetti. Diversa sarebbe stata la mia storia se avessi avuto un punto fisso, una dimora stabile.

Una casa rimasta sempre accanto alla vita di un personaggio letterario¨ invece  La casa delle sorelle, romanzo che ho letto volentieri perchè¨ racchiude tanti elementi che mi piacciono: il mistero, i brividi della paura, un diario ritrovato, lo Yorkshire. In più¹ una  (fresca meravigliosa)… tempesta di neve!!!

Charlotte Link è una scrittrice tedesca nata nel 1963 e in questo libro dà  prova della sua abilità nel raccontarci diverse storie accadute in tempi diversi.  I protagonisti principali sono Barbara e Ralph sposati da parecchi anni che per sanare il loro rapporto stanco e conflittuale  decidono di trascorrere le vacanze natalizie  in Inghilterra,  a Westhill House nello Yorkshire.

E’ la tempesta di neve con i disagi che procura, come la  mancanza di elettricità, del  telefono, scarsità di viveri, freddo, che mette in moto la storia. Mentre Ralph affronta la neve per chiamare i soccorsi ,sua moglie va a cercare qualcosa da bruciare  nel capanno esterno e  qui incappa in un diario. Barbara inizia a leggere e capisce che si tratta del racconto dell’intera vita di Frances Gray l’antica padrona di Westhill House ora proprietà  dalla  sua  governante Laura che la affitta per brevi periodi.  Barbara segue avvinta la storia di Frances a cui si sente di assomigliare, in un crescendo di segreti  che potrebbero ancora essere pericolosi. Si parlerà anche della sorella di Frances, Victoria e dell’uomo che entrambe hanno amato. E di  Laura che invano ha  sempre cercato il diario di Frances per distruggerlo …

 Interessante percorrere una vita del secolo scorso : ritroviamo  ricordi delle due guerre, delle suffragette, e soprattutto il percorso di un esistenza  speciale, ribelle e anticonformista.

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LE SCARPE AL SOLE… di Paolo Monelli

pubblicato da: admin - 8 Giugno, 2010 @ 4:30 pm

Scan10001Scan1Mi è stato chiesto di scrivere un pezzo per questo blog: colgo molto volentieri l’invito e ringrazio fin d’ora la “prof” Mirna per avermi concesso lo spazio di “un giorno”.

Come penso sia risultato noto a tutti, la mia passione è la Grande Guerra: passione che va dalla raccolta di testimonianze materiali alla ricerca archivistica e cartacea. Ecco che quindi questo “giorno” verrà dedicato alle mie riflessioni su questo tema, prendendo come spunto un libro, che oramai penso sia introvabile in libreria (a meno che non siano state fatte recenti ristampe), e nell’intero sistema bibliotecario trentino ne esiste una sola copia. Mi ritengo dunque uno fra i pochi fortunati in possesso di questo libro, che si intitola “Le scarpe al sole: cronache di gaie e di tristi avventure di muli, alpini e di vino”, il cui autore è Paolo Monelli, giornalista e fotografo amatoriale. Recentemente è stato edito dal Museo permanente della grande guerra di Borgo Valsugana un volume con le foto di Monelli, ed inoltre è stato dato l’avvio ad una mostra itinerante delle foto, partita da Borgo: mostra unica in Italia che per la prima volta ha reso pubbliche quelle foto.

Il libro è un interessantissimo spaccato sulla vita di guerra e di trincea, vissuta in prima persona dall’autore, che dato anche il suo grado di ufficiale poteva permettersi anche delle pause durante i combattimenti.

Paolo Monelli nasce a Fiorano Modenese il 15 luglio 1891. Sebbene esentato dal servizio militare, allo scoppio della guerra fa domanda per diventare ufficiale di fanteria della Milizia Territoriale, specialità alpini. Entra così nel battaglione “Val Cismon”, 265ª compagnia, III plotone. Con il “Val Cismon” partecipa a molte azioni belliche sviluppatesi sul fronte della Valsugana-Alpi di Fassa fino alla primavera del 1917, quando lascia il battaglione per uno dei reparti skiatori in corso di formazione. Dopo un breve periodo passato in valle di Tesino ad addestrare gli alpini all’uso degli ski, passa al nuovo battaglione “Monte Marmolada”, in tempo per partecipare alla sanguinosa battaglia dell’Ortigara del giugno 1917. nei mesi seguenti gli viene assegnata la 301ª compagnia alpina ed ottiene la promozione a capitano. Nel novembre 1917 -sono i giorni di Caporetto- il battaglione di Monelli presidia le posizioni del monte Tondarecar e di Castelgomberto: i suoi uomini si sacrificano nel respingere i continui violenti assalti austriaci ed i pochi superstiti -tra cui Monelli stesso- finiscono prigionieri. Via Trento, il capitano Monelli viene portato dapprima nel castello di Salisburgo e poi a Braunau in Boemia, ad Hart, a Sigmundsherberg: tenta due volte la fuga ma viene ripreso. Alla conclusione del conflitto rimane in Austria con le forze di occupazione del Regio Esercito e rientra in Italia alla fine del 1919. Gli verranno assegnate tre medaglie di bronzo al valor militare per azioni condotte il Valsugana (1916), Ortigara (1916) e sul Tondarecar (1917). Diventerà poi giornalista e collaboratore di numerose testate nazionali ed al contempo scrittore. Si avvicinerà al fascismo, senza però rimanerne entusiasta. Si spegne a Roma il 19 novembre 1984.

Dice di lui Angelo Manaresi, suo conterraneo, amico e collega ai tempi della guerra in Valsugana e sul Cauriol: “Monelli freddo e incaramellato, sottile come un giunco, caustico, mordace, freddurista impenitente, gran conquistatore di donne, partito per il fronte astemio e rapidamente convertitosi ad abbondanti bevute, valorosissimo in combattimento ed impeccabile d’eleganza in riposo, stonato come una campana fessa, ma innamorato dei canti alpini, buon narratore e magnifico scrittore, è oggi fra i giornalisti più noti d’Italia ed il suo libro “Le scarpe al sole” è quello che forse, meglio di ogni altro, interpreta l’anima scarpona della grande guerra…”.

Era un ufficiale sì, ma rimaneva comunque legato ai suoi uomini, con cui condivideva tutto e con cui stringe forti legami affettivi: tutto ciò emerge leggendo il suo libro.

Concludo con le parole di Monelli stesso, prese da considerazioni che scrive negli anni successivi alla fine della guerra: “Nel corso di quella guerra mi sono legato di affetto e di stima a uomini che compivano il loro tremendo dovere con semplicità e con virile coscienza, con lo stesso impegno che avevano portato fino allora nella loro vita di contadini, di minatori, di boscaioli, di emigranti. Ho preziosi ricordi della loro umanità, della loro pazienza, della commovente fiducia che avevano, uomini provati, in me ragazzo che dovevo portarli a morire. È mia ricchezza segreta ed indistruttibile questa esperienza che non vorrei avere avuto”.

Le due foto in allegato ritraggono Monelli durante una pausa dai combattimenti sul Cauriol e i “veci” della compagnia di Monelli, in pausa al rifugio Ottone Brentari di Cima d’Asta.

Ringrazio di cuore Luigi Oss Papot per aver voluto condividere con noi  la sua passione per la storia. Ripeto che sono molto orgogliosa di averlo avuto come alunno, e che alunno! Fra poco sosterrà l’esame di maturità…in bocca al lupo!

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DI BUONA FAMIGLIA e le antiche memorie

pubblicato da: admin - 7 Giugno, 2010 @ 5:54 pm

scansione0007E’ vero, è più fresco. Mi conviene provare a scrivere di mattina perchè nel pomeriggio l’appartamento-forno diventa caldo ugualmente. Meglio come suggerisce Camilla guardarsi un film (adatti quelli da brivido!) e bere qualcosa di ghiacciato. Interessante però  come ci adattiamo ad ogni cambiamento sin dai tempi delle caverne, palafitte, capanne, casette, condominii, cottages…al caldo o al gelo.Ieri sera però ero alla ricerca di ricordi di case fresche circondate dal verde  e mi è venuto in mente il libro “Di buona famiglia” di Isabella Bossi Fedrigotti la cui vicenda si dipana in una vecchia casa  delle nostra regione. Nello stesso tempo ho ripensato a Villa Parsifal, la casa di Merano dove io nacqui tanto tempo fa… Era, Villa Parsifal ,una casa fresca, circondata da giardino, frutteto e pini. C’era anche una palma.  Aveva una bellissima veranda e  nel giardino c’era un  bersò dove la mamma andava a cucire. Sebbene la lasciammo quando io avevo cinque anni per trasferirci a Carpi, io la ricordo bene perchè ogni estate che trascorrevo dagli zii rimasti a Merano salivo a Maia Alta per andare a rivederla. Molti ricordi sono miei, come uno splendido Natale,  altri sono quelli raccontati dalla mamma e dalla nonna.

La casa di buona famiglia  descritta dalla Bossi Fedrigotti è diventata l’ultima dimora di due anziane sorelle, Clara e Virginia. E’ una casa antica, ricca di oggetti e mobili di pregio, di presenze lontane in cui malinconicamente aggirarsi rimescolando pensieri, ricordi e rancori. Il romanzo è diviso in due parti, i due punti di vista delle sorelle. Dapprima si ascolta l’autoconfessione di Clara ” Sei una sopravvissuta. Tu e la tua casa, le tue stanze, i letti, le fotografie che tieni intorno come immagini di un cimitero personale. Avanzi di un altro mondo sono i tuoi vestiti…Sei una sopravvissuta perchè non ti rassegni alla tua età e ancora stai davanti allo specchio, ti guardi e ti trovi vecchia…Sei fuori dal mondo perchè alla tua età bisognerebbe aver chiuso con tutto e soltanto ad aspettare; mettere ordine nella vita, disporre di questo e di quello…”.

Questa bella casa borghese , in cui piacevole sarebbe entrare nella sua penombra per qualche ora per sentire l’odore di cera o di rose del giardino, ammirare gli armadi pieni di lenzuola ricamate e odorose di spigo o la dispensa con le marmellatte chiuse nei barattoli con carte di cellofan è stata però …la prigione limite per Clara. Casa simbolo del suo ceto al quale aggrapparsi per sentirsi importante, per avere un’identità. “Come un simbolo di voi, sempre più soli, più diversi, attaccati a un mondo finito“…

Le due sorelle parlano degli avvenimenti dololorosi che le hanno rese “nemiche” e incomprese l’una con l’altra perchè hanno  sempre tenuto chiusi nel proprio animo  gli intimi sentimenti. Sappiamo tutti della crudele educazione borghese di non far trapelare mai ciò che si pensa. Io dico crudele, perchè comunicare e raccontare di sè è  sia apertura che generosità verso l’altro, è  consapevolezza  e condivisione, è un modo per vivere meglio.

Se le due sorelle, che ancora possono andare in giardino a raccogliere l’insalata e sistemare i cassetti, comunicassero  certo i loro  ultimi anni non sarebbero  così tristi.

Molti malintesi si  chiarirebbero: ciò che infatti crede Clara contrasta con ciò che poi Virginia racconta. Clara la non sposata, la meno affascinante risulta però la più forte, la più dura,incatenata com’è in questa casa di buona famiglia che è l’unico suo porto sicuro. Per essa ha però barattato la sua libertà.

Ho sfogliato nuovamente con interesse questo libro dove ho anche ritrovato  miei ricordi lontani: le ciliegie cotte che mi faceva la nonna Bianca, le uova in calcina…che comperavamo  in  inverno. Chissà se qualcuna sa di che cosa si tratta…

La casa è dunque lo specchio della nostra personalità, il prolungamento di ciò che abbiamo dentro di noi…com’è la vostra casa, vi corrisponde? La mia…beh, ve lo dirò un’altra volta.

ATTENZIONE: domani il post del giorno sarà un libro molto interessante presentato dal mio ex alunno Luigi Oss Papot.  E’ il primo ospite del mio blog che è aperto a tutti.

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