IL RIBELLE IN GUANTI ROSA: Charles Baudelaire

pubblicato da: admin - 27 Febbraio, 2010 @ 6:59 pm

scansione0011copj13Non potevo, dopo la interessante lezione su Baudelaire tenuta  della professoressa M.Cristina Corcione, esimermi dal parlare del libro di Giuseppe Montesano. Ho anche cercato i vecchi appunti universitari,  quelli scritti seguendo il corso del  mio docente di letteratura francese, il poeta, Luciano Erba. Non li ho trovati naturalmente, il caos regna sovrano ormai nella mia casa, ma i ricordi sono ancora abbastanza  freschi e basta rovistare  un po’ nel  mio “bagaglio culturale” per farli riaffiorare.

Seguivo le lezioni con avidità, la vita dei poeti è per me quella eccelsa, come quella dell’albatros che si sente se stesso quando  può volare ad ali spiegate al di sopra delle meschinità terrene. E proprio la poesia “L’albatros“  ha letto la bravissima e luminosa  professoressa Corcione, nella’aula magna della Utetd. Naturalmente la traduzione in italiano penalizza un po’  la musicalità dei versi in rima alternata di Baudelaire.

Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage /prennent des albatros, vastes oiseux des mers, /qui suivent, indolents, compagnons de voyage,/le navire glissant le gouffres amers.

Sovente, per diletto, i marinai / catturano degli albatri, grandi uccelli marini  /che seguono, indolenti compagni di viaggio, / il bastimento scivolante sopra gli abissi amari.

  Il contenuto rimane, sia nel significato metaforico dell’ albatro, simbolo del poeta incompreso e deriso appena questi “atterra” tra gli altri, sia nella scelta delle figure retoriche come la sinestesia: abissi amari.

Per me  più della famosissima  “Spleen” è questa la poesia baudeleriana che mi cattura e graffia, perchè qui si parla di solitudine fra gli altri, di diversità denunciata, di incomprensione e di  cosciente crudeltà.

In “Spleen“, c’è l’angoscia esistenziale del poeta che si sente prigioniero, io penso, persino di se stesso,  vede la speranza come un “pipistrello che sbatte contro i muri” e le gocce di pioggia non sono paragonate alle liberatorie e consolatrici lacrime, bensì imitano “le sbarre d’un grande carcere”.  Da soli forse però si combatte meglio l’angoscia , perchè siamo noi soli di fronte a noi stessi, ed è quello che il nostro poeta riesce in parte a fare, grazie alla sua  poesia.

La parola inglese spleen, che significa sentimento di noia, disagio , malessere, insofferenza rassegnata di vivere è entrata nel nostro vocabolario; io stessa in certe giornate malinconiche in cui non ho voglia di nulla dico che ho lo spleen. Succede anche a voi? Spero però che non sia così insopportabile come quello di Baudelaire!

Nel libro di Montesano ripercorriamo la vita dolorosa di questo grande poeta che ha rinnovato la poesia con il suo simbolismo e le corrispondenze, cioè le analogie con le cose; anche i profumi, i colori e i suoni come “lo spirito e i sensi” entrano in accordo totale, in una combinazione infinita di corrispondenze. Forse c’è già un’anticipazione del correlativo oggettivo di Eliot, e poi di Montale,  per cui la metafora si oggettivizza, considerando  l’astratto  oggetti concreti.  (Scusate, ma sono appassionata di poesia!) Che ne dice Luigi? E le mie colleghe e figlia  angliste? E le lettrici?

…i pensieri che diventano” un popolo muto di infami ragni che tende le sue reti”…

Per tornare alla sua biografia, impariamo che pur vivendo negli anni falsamente fiduciosi della rivoluzione industriale e del progresso, Baudelaire ne percepisce i limiti e gli inganni e si rifugia nell’Arte, come valore assoluto, dall’alto della quale, come l’albatro, ne vede però la verità deludente. La sua poesia diventa la testimonianza della crisi della coscienza borghese che anche lui, come tanti artisti, abborrisce.

Sappiamo della sua vita, dell’abuso di oppio, alcool , del suo dandismo, della sua amante mulatta chiamata con disprezzo  dai parigini la Negresse e conosciamo il suo male di vivere. Conosciamo le sue difficoltà economiche, le frequentazione dei bassifondi della città, la ricerca della bellezza proprio nel male, egli  si propone infatti “d’extraire la beautè du Mal”. Attraverso la sua esperienza di solitudine, incomprensione, il poeta sembra ripercorrere la tragedia dell’essere umano, “dell’homme double”. Si pasce nel fango di Les fleurs du mal, ma  aspira anche all’Ideal.

In questo ampio romanzo Montesano si delinea come un potente citatore delle opere del poète maudit; ci ha messo 10 anni a completarlo, ma vale la pena leggerlo. Piero Sorrentino commenta : “questo libro si legge come un romanzo, perchè Montesano è riuscito prima di tutto nel piccolo miracolo di specchiarsi, e far specchiare il lettore, nel volto, dalla “smorfia che gli taglia la faccia in tutte le fotografie e fino alla fine”, del poeta, mio simile, fratello.”

                                                                                                                          *     *         *            *

A proposito di spleen.

Appena arrivata , la mia gattina Mimilla, era molto malinconica. La sua prima infanzia era stata terribile come quella di Cosette dei Miserabili, abbandonata, ammalata, ecc. ecc. Prima di abituarsi alla tranquillità e all’amore della mia casa, era sempre piena di spleen. Quando la portai dal veterinario e lui mi chiese il suo nome da scrivere sul libretto personale io dissi:

“Mimilla di nome e…Baudelaire di cognome.  Sa, è sempre piena di  spleen!”   Il veterinario mi guardò perplesso.

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11 commenti
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  1. Mi interessa sapere di piu’ riguardo al perche’ del titolo e in particolare i “guanti rosa”, l’idea di dandismo, estetismo? O altro?
    E’ bella la definizione di “spleen” come prigione in se stessi. Io la provo spesso e ho proprio la sensazione di essere chiusa nel mio limite. Solo che per Baudelaire lo spleen portava una forte dimensione di creativita’, per me molto difficile da trovare..

  2. Baudelaire vestiva generalmente di nero perchè portava il “lutto” per l’umanità, ma poi indossava un grande papillon bianco e guanti rosa pastello. Portava i capelli tinti di biondo raccolti a boccoli dietro le orecchie, quando era molto giovane naturalmente. Si potrebbe pensare quasi a un abbigliamento gay, ma il suo sguardo freddo e intenso, il suo incedere altero rivelavano il desiderio di apprarire il più artificiale e innaturale possibile.

  3. La foto del poeta ci offre uno sguardo inquietante oltre che angosciato. Sembra proprio che il suo “terzo occhio” veda tutto il male che affligge l’umanità e a cui non c’è scampo. Penso allora che il dolore espresso da un poeta possa aiutare a vivere meglio chi poeta non è e a far sì che la poesia possa diventare parte del quotidiano.

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