LESSICO FAMIGLIARE, e le parole che ci accomunano

pubblicato da: admin - 26 Febbraio, 2010 @ 9:17 pm

scansione0006Quali sono le parole, i modi di dire che accomunano e contraddistinguono una famiglia? Ognuno di noi, se ci pensa attentamente, li troverà. Natalia Ginsburg è riuscita a costruire attorno ad essi la storia della sua famiglia d’origine. Chi non ricorda le “malegrazie”, gli “sbrodeghezzi,” i “potacci” che suo padre urlava in svariate occasioni?

Questo romanzo è la “bibbia” della mia amica Giuliana di Aquileia. Credo che lo sappia a memoria e spesso usa le stesse espressioni, come d’altronde è capitato anche a me. “Malignazzo Belgio” esclamammo infatti  io e mia figlia, copiando la mamma di Natalia , quando qualche estate fa  giungemnmo a Bruxelles e trovammo pioggia e freddo. Con il treno dovevamo raggiungere Bruges per il concorso di Musica antica (…Vinto, poi! …Ma ancora non lo sapevamo!). Campagna desolata, grigia, stabilimenti fumosi e pioggia. “Malignazzo Belgio”…ripetevamo battendo i denti, e via che ci mettevamo un’altra maglia, poi i calzini, una sciarpetta. Ci chiedevamo: Ma diceva proprio così la mamma della Ginzburg? Sì, e aggiungeva anche “Malignazzo di un Liegi”, perchè lei ci era stata per un po’ di tempo, e non le piaceva per niente perchè pioveva sempre.

Una madre dolce, vaga che avrebbe tanto desiderata una villetta con giardino, tanto che quando faceva il gioco delle carte  diceva “Vediamo se  qualcuno mi regalerà un villino”

Completamente diverso il padre, Giuseppe Levi, ebreo, docente di anatomia comparata, che faceva il buono e cattivo tempo in famiglia. Risoluto, autoritario, brontolone esortava i figli e moglie a una vita spartana: docce fredde, gite in montagna  faticosissime. Se qualcuno cercava qualche comodità veniva definito “negro”. Una “negrigura” era un atto o un gesto inappropriato, come indossare  scarpe da città in montagna o cappellino per ripararsi dal sole, o soltanto lamentarsi di avere sete.

Gli “sbrodeghezzi” invece erano non solo i comportamenti ineducati a tavola, ma anche i quadri moderni, come quelli di Modigliani. Fra l’altro uno dei suoi figli sposò poi  la figlia di Modigliani, matrimonio durato però molto poco.

 Leggere le pagine di Natalia Ginsburg è un piacere, una gioia; la nostalgia è soffusa di leggerezza e sorrisi. Persino gli avvenimenti più tragici come la prigionia del padre, il confino dei fratelli e l’uccisione del marito Leone Ginzburg vengono ricordati come attraverso un velo che sembra averne assorbito il dolore.

Siamo nella Torino degli anni Trenta, una città intellettuale dove incontriamo Cesare Pavese, l’editore Einaudi, gli Olivetti, Eugenio Montale e tantissimi altri. Si parla di Mussolini, delle leggi razziali, dell’antifascismo, ma soprattutto  si parla della famiglia di Natalia Ginzburg, che come scrittrice userà sempre  il cognome del primo marito.

Ciò che mi affascina in questa ricerca del “tempo perduto” da parte della Ginzburg, che a Proust è debitrice, (ha fatto una traduzione della “Recherche”) è il modo distaccato eppure forte con il quale descrive tutti i protagonisti che hanno condiviso parte della sua vita. Sembra che volontariamente si attenga alla leggerezza di ciò che racconta, quasi staccata, per non soffrire troppo, e per relegare eternamente i suoi ricordi, nel momento preciso del loro accadimento, quasi avulsi dal tempo in cui vengono scritti. 

Lessico familiare vince il Premio Strega nel 1963. Ma sapete una cosa? Nelle mie due grandi e abbastanza recenti enciclopedie della lingua italiana Natalia Ginzburg non viene citata. Farei una protesta!!!

Ma per concludere questo post e per dare spazio ai nostri ricordi faccio una domanda. Quali le parole più significative del vostro lessico familiare?

Io ne citerò solo uno: “Ag vol dla lama” di mia nonna Bianca.  La lama era il terreno paludoso formatosi in prossimità di un fiume, nella campagna carpigiana, dove venivano scavati, a mano,  canali e canaletti.  Lavoro durissimo.  Se qualcuno di noi  si lamentava di qualcosa,di un cibo non gradito, di un amoretto infelice, o di qualche dissidio, o crisi pseudo esistenziali, la nonna esclamava

“Ag vol dla lama”.

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6 commenti
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  1. Il mio lessico familiare è legato al dialetto siciliano, visto che entrambi i genitori erano originari di Palermo, come del resto anch’io. In casa si parlava prevalentemente in italiano, ma era logico comunque che, soprattutto nei momenti di maggiore insofferenza le parole “camurria” e “camurrusu” prendevano il posto di “scocciatura al di là di qualsiasi descrizione” e “la persona che la provoca, sia lo stato d’animo stesso”. Devo dire che ancora adesso, anche se ormai la mia famiglia d’origine non esiste più, mi sorprendo non solo a pensare in dialetto, ma anche citare a chi ha voglia di ascoltare, previa debita traduzione, modi di dire o proverbi che appartengono ormai a un mondo che non torna più.

  2. Io mi ricordo (per ora) solo di mio papa’ che, irritato dalla mia saccenza o dalle risposte irrispettose che talvolta davo esclamava: “Vieni qua che ti ungo”, in realta’ espressione piuttosto chiara anche se per me in quel momento peculiare e associata effettivamente all’olio d’oliva.
    Piu’ vari “ligurismi” ameni. Con mamma invece usiamo l’espressione “prendi la spada laser” per significare “fatti venire il coraggio e affronta le tue battaglie”.
    “Lessico famigliare” e’ uno dei libri piu’ spassosi e brillanti che abbia letto.

  3. Evviva “Lessico famigliare”! Il tuo blog, cara Mirna, è una miniera inesauribile e per me, che solo oggi mi affaccio, la scelta del libro su cui dire la mia sarebbe difficile se non ci fosse questo. Sì, perchè QUESTO è di gran lunga quello che ho molto amato fin da ragazza e che mi ha fatto poi molta compagnia anche negli anni successivi. Quando è uscito abitavo a Torino, ero ragazza e mi era subito piaciuto sia per l’aspetto del lessico famigliare, appunto, sia perchè riconoscevo e calpestavo fisicamente i luoghi che lei, Natalia Ginzburg, raccontava. Addirittura al ginnasio ho avuto compagno di classe Emanuel Segre Amar, figlio di Sion, amico di famiglia dei fratelli di Natalia, che compare nel libro e che io vedevo spesso all’uscita da scuola quando veniva a prendere il figlio. C’erano in quegli anni a Torino moltissimi Ebrei rientrati in Italia, in genere dal Sudamerica ed Emanuel era uno di quelli. Avevano tutti ville bellissime in collina ed io, che vivevo in un normale appartamento in città, ero stata a volte invitata a feste in quelle residenze così diverse dalla mia… Uh, quanti ricordi mi si affacciano… Cerco di tagliar corto. Da Lessico famigliare ho ricavato, insegnando, uno dei miei allestimenti teatrali preferiti. L’avevo intitolato “Non fate il teatrino!” (da una frase del padre) ed i miei allievi si sono sempre divertiti moltissimo a recitarlo. Sì, perchè l’ho utilizzato più volte e in città diverse. Di un allestimento qui a Trento ho il DVD. Vuoi vederlo un giorno o l’altro, cara Mirna? Se po’ fà!!! Un paio d’anni prima che la Ginzburg morisse, le ho scritto e lei mi ha risposto prontamente. Conservo quella lettera come cosa preziosa.
    Nella mia famiglia… quante frasi e/o parole di lessico famigliare! “E’ un castello di Moncalieri” si diceva per indicare una cosa detta tante volte, perchè mio padre, ogni volta che si passava davanti a quel castello appunto, ci diceva “Vedete, lì ho fatto il mio servizio da ufficiale di prima nomina” e noi, che lo sapevamo a memoria, eravamo annoiatissimi.
    Eravamo soliti dare soprannomi alle persone, soprannomi che non andavano fuori di casa nostra naturalmente e che erano dovuti alle ragioni più strane. Così c’era “la concubina”, che era una sartina modestissima e bruttina, la quale solo per difficoltà economiche condivideva un appartamento di casa popolare con un anziano signore cui faceva da mangiare e nient’altro! Poi c’er “cordoncino”, un’altra sartina piccola piccola che voleva sempre mettere dappertutto una guarnizione, che ogni volta proponeva col termine cordoncino. E via di seguito… Non la finirei più.
    Tornando brevemente al libro, trovo di una simpatia unica il padre, ma anche la Natalina e il fratello Alberto, che infatti nella nostra rappresentazione erano ben sfruttati come personaggi anche umoristici. Wiva Lessico famigliare, dunaue! Ciao da MT (K)

  4. Benvenuta finalmente nel blog a Maria Teresa K.! Immaginavo il suo entusiamo per “Lessico familiare”… perchè la rappresentazione registrata dello spettacolo da lei organizzata a scuola… l’ho visto! Ed è veramente delizioso.
    Invece non ricordavo della lettera di Natalia Ginzburg! Da conservare per sempre!
    E’ bellissimo scoprire il lessico che ogni famiglia conserva e che generalmente è spassosissimo.
    Mi sarebbe piaciuto conoscere “cordoncino” e la “concubina”

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