RIVA di Kim Thui
pubblicato da: admin - 13 Agosto, 2011 @ 4:38 pm
E a proposito di storie avventurose ma tragiche, di guerre senza vincitori perché chiunque ne vive una è vittima, ecco la storia di una vietnamita che fugge dal suo paese martoriato per approdare prima in un campo profughi della Malesia ed infine in Canada.
E’ un lungo cammino che passa per esperienze tremende quello di Kim Thui, il cui vero nome è Nguyen Antinh che significa ambiente interno e tranquillo. In Oriente i nomi hanno significati pregnanti come il titolo di questo bellissimo piccolo libro, edito “Nottetempoâ€:
Ru (Riva) suggerirebbe un placido scorrere d’acqua fino a un sereno approdo, quasi un suono di ninna nanna,  ma la drammaticità degli eventi fa sentire spesso la protagonista vinta, denudata, inutile.
All’arrivo in Canada giovanissima non riesce a parlare per molto tempo, pur se il paese sconosciuto è pieno di delizie come cibo e  abiti caldi.
Ricordando le sue emozioni d’alloral’autrice si paragona al suo figlio autistico.
Sì, perché ormai Kim è una giornalista, avvocato , ha due figli, viaggia spesso, ma dentro di sé rimarranno sempre i ricordi lontani e una sorta di spaesamento nel non sentirsi più vietnamita proprio nella perdita di quella  fragilità ed insicurezza quasi congenite.
Ogni pagina un frammento di poesia,  di emozioni forti, indimenticabili, ogni riflessione un’illuminazione che ci fa rabbrividire di intensità .
I personaggi della sua famiglia agiata e colta sono descritti magistralmente, non si potrà dimenticare lo zio materno che fa sentire la figlia una principessa o la madre dell’autrice che ha il suo stesso nome – solo una leggera sfumatura ne differenzia il significato di “dimora tranquilla –e i suoi insegnamenti.
Bellissimo il proverbio in cui si dice che con la tristezza non si può vincere alcuna battaglia.
Avrei voluto ricopiare le parole esatte, ma il foglietto in cui trascrivo il numero della pagina da cui trarre le parole o i punti che mi hanno colpito e che desidero condividere con voi…mi è volato via.
Sarà planato su qualche terrazza  tra il basilico e le petunie? Qualche borzonaschino prima di rientrare in cucina a gustare le trenette al pesto o i ripieni di verdure avra’ cercato di decifrare con aria perplessa i miei appunti disordinati?
Ma Renata che me l’ha portato da Recco per farmelo leggere durante il suo breve soggiorno qui a Borzonasca potrebbe ricopiare e spedire l’esatto proverbio.
Dobbiamo però aspettare Settembre quando tutti o quasi tutti torneremo alle nostre abitudini consolidate e l’Estate lentamente si stempererà nei colori tenui dei momenti già vissuti.
P.S.
Ieri sono andata a Recco da Renata nella sua casetta -un  angolo di paradiso che guarda il mare attraverso ulivi e limoni –perciò ho risfogliato il libro di Kim per copiare esattamente il proverbio che sua madre, alunna dell’ottava classe a Saigon, vedeva ogni giorno scritto sulla lavagna:
Doi là chien tra néu buòn là thua :
“La vita è una battaglia in cui la tristezza porta con sè la sconfitta.”
La guerra … della seconda mondiale, io, nato il 3 febbraio 1944, ricordo solo le luci azzurrate nelle scale di casa; la carta di giornale infilata nelle fessure delle persiane per garantire l’oscuramento; le macerie delle case bombardate nei pressi del porto (di Genova); sui tram, i posti riservati agli “invadidi di guerra (e del lavoro)”; le banconote di miliardi di marchi (svalutati) che il mio babbo, carabiniere non aderente al fascismo dopo l’8 settembre, aveva gadagnato qual prigioniero-lavoratore in un campo di prgionia in Germania, banconote che poi aveva dato a noi bimbi per giocare (peccato non averne capito il valore testimoniale ed averle disperse!).
Oggi viviamo indrettamente altre guerre, alla televisione, e ne siamo colpiti. Ma vi assicuro che quando mi recai a Prijedor, nella Repubblica Serba di Bosnia, in missione umanitaria, immediatamente dopo la fine ufficiale del conflitto, pur non trovandomi in una guerra in atto, tuttavia lo sgomento, la pietà , l’orrore, lo sconforto, la paura che provai sono indescrivibili. E quello che lascia la guerra, ogni guerra, è il ricordo di cento, centocinquanta persone “importanti” (politici, generali, etc.) che trovano posto nelle cronache e sui libri di storia e l’oblio del dolore e del sacrificio di miloni di “dimenticati”.
La guerra è una sconfitta, per tutti, anche per chi la vince. Potrete leggere su questa visione quanto vi riporto in un prossimo post su “La paura” di G. Chevallier, ove si tratta del sentire umano dei fanti durante la prima guerra mondiale.
Oggi tuttavia viviamo un altro tipo di guerra, quella che si combatte sul campo di battaglia dei diritti civili, delle speranze e delle aspettative soprattutto dei giovani, di una demo-crazia (sic) impunemente violata nei fatti. Nel gioco dei corsi e dei ricorsi, toccherà anhe a noi, almeno statisticamente, di uscirne. Speriamo presto.