QUELLA SERA DORATA,ovvero il nostro luogo e il nostro tempo
pubblicato da: admin - 13 Maggio, 2011 @ 7:37 pmCom’è facile e consolatorio leggere Peter Cameron. Corrisponde alle esigenze del Lettore che in un libro vuole svago, impegno, consolazione e un potersi lasciarsi andare con fiducia perchè viene guidato verso ciò che desidera e che non sa forse di desiderare.
Anche in questo romanzo noi ci addentriamo in un universo che sembra distante –  siamo in Uruguay, – ma che è invece  “dentro di noi”, nei punti nevralgici della “geografia del cuore”. Attraverso dialoghi che scorrono come un fiume conosciamo a fondo, – e questo è la grandezza di Cameron che con elegantissima semplicità ci conduce nei più remoti recessi del nostro inconscio, -la parte più intima dei personaggi.
E così incontriamo Omar, dottorando in letteratura, distratto, poco preciso, ” che si sente affondare nelle sabbie mobili” ma che viene  pilotato energicamente da una determinata fidanzata .
Una sera, nel Kansas dove abita, Omar rischia veramente di affondare nelle sabbie mobili della palude attorno alla casa isolata prestatagli da un’amica, mentre sta cercando la cagnolina Mitizie, sempre dell’amica.Â
“Non è casa mia – Mitzie non è il mio cane..”E desiderò di avere qualcosa di suo, di inequivocabilmente e irrevocabilmente suo. Non gli era mai venuto in mente…”
Decide di andare in Uruguay per scrivere la biografia di uno scrittore morto suicida, Jules Gund, , come progettato per poter accedere a una cospicua borsa di studio. Ci va d’impulso  nonostante il rifiuto all’autorizzazione da parte degli eredi.
 Omar arriva faticosamente a Ochos Rios dove in una vecchia e bella villa abitano Caroline la vedova di Jules e  Arden l’ultima giovane amante con la  figlioletta Porzia. Poco distante, nel vecchio mulino abita Adam il fratello di Jules con il compagno Pete.
Un microcosmo circoscritto dove le giornate sono scandite da lavoretti nei campi, allevamento di api e qualche incontro con i vicini. Una vita che se per Caroline e Pete sembra stretta è invece accettata pienamente da Adam e da Arden che sanno , consapevolmente, di aver trovato il loro Luogo.
“Capisco” dice Omar un giorno parlando con Arden della quale è già innamorato “Capisco perchè lei vuole vivere qui. O almeno penso di capirlo. E’ come se fosse tutto perfetto, qui.”…Tutto sembra perfetto. Ogni cosa sembra al suo posto. Anche gli alberi, il cancello, la villa, tutte le cose della villa, e il silenzio…non so.”
Già Omar, appena arrivato, aveva avuto il presentimento di essere capitato nel suo Luogo. Lo sente mentre parla con l’enigmatica Caroline che copia dipinti famosi nella Torre della casa. Nonostante il dialogo un po’ forzato fra i due Omar “si sente teso in una sorta di potenziale follia, e con tutta quella luce che pareva sul punto di esplodere. Ma forse era lui. Sentì che stava sudando. Per la prima volta da quando era arrivato in Uruguay, si sentì presente con tutto se stesso.”
La luce dorata che Omar vede sempre intorno a sè è il segno che è arrivato. Il titolo del libro è tratto da alcuni versi di Elizabeth Bishop
“Quella sera dorata non volevo proprio andare oltre;
più di ogni cosa volevo restare un po’…”
Mi chiedo se anch’io sono nel posto giusto. Mi guardo intorno e non vedo la perfezione che Omar percepisce nella villa di Arden,nel mio salotto c’è un gran caos, gli oggetti sembrano in attesa di qualcosa e la luce dorata arriva a fasi alterne. Solo la gatta, lare del focolare sembra centrata, sicura di essere dov’è.
 E voi, siete nel vostro Luogo?
Â
Non c’è santi che tenga : tu sai leggere, Mirna. Entri nei libri con lieta curiosità e grande attenzione e non ti sfugge nulla delle preziose atmosfere, delle parole che potrebbero essere le nostre, dei caratteri benissimo descritti dei personaggi.Quella sera dorata, quel luogo che ci fa sentire “a casa” e ci fa pensare- questo è il mio posto” è davvero un punto di arrivo e , qualunque sia il nostro stato, lì ci vogliamo fermare : per Arden e Omar…per sempre. Quel sempre che, da giovani, sembra totale e magnifico e ti fa voglia di fare…figli, e lavori, e mettere radici profonde. E vorrei rispondere alla tua domanda. io mi sento nel mio Luogo. Adesso, da vecchia , non vorrei essere in nessun altro posto e apprezzo talmente il mio Ochos rios, dove ho tutto quello che mi dà serenità .e, sempre con la Bishop, penso che l’andare altrove , per me, sia sempre meglio pensarlo (che farlo) Che sollievo!
@ Riccardo: verrò ben volentieri a indagare sulla tua libreria e ti porterò un bel libro. Ma non LA FINE. Perchè un simile romanzo devo rileggerlo, con calma e attenzione, un’altra volta.Ho già incominciato. E’ talmente denso e perfetto, nel senso che ogni parola, ogni fila di parole, è perfetta e va ricordata, comunque ben compresa, goduta, pensata e ripensata che una sola lettura non può bastare. Ma ti avevo pensato quando leggevo un bellissimo romanzo, di tutt’altro spessore e pure molto piacevole, molto acuto e molto inglese e pieno di intelligenza e umorismo e empatia, un romanzo di Paul Turday,sul brutto mondo della finanza , delle bolle speculative. ti divertiresti un sacco. a <presto.
Non ho letto il libro. Ho visto il film, che mi ha fatto riflettere molto.
Se sono nel mio luogo? “Io, la mia patria or è dove si vive”. Il mio luogo è quello in cui riesco a inserirmi come sua parte. Sarà per questo che amo tornare in vacanza per alcuni anni di seguito nello stesso posto, per conoscere e ri-conoscere i luoghi e la gente e per essere conosciuto e ri-conosciuto. Mi capitò ieri con il Rifugio Pedrotti alla Tosa, mi capita oggi con la “mia” isoletta selvaggia nelle Incoronate. Vacanze a parte, considerate che è qui a Trento che è iniziata la mia vita da pensionato, il che mi ha concesso, per la prima volta dopo tanti anni, di fermarmi a pensare ad argomenti e persone diverse dal lavoro. Ed è qui che grazie a Maria Teresa, Cristina, Ruggero e Mirna sono coinvolto in molte iniziative amicali e culturali, ed allora, beh, devo proprio dire che “questo è il mio luogo”. Del resto, è pur vero che torno volentieri a Genova, al mio Mare, dove sono nato, sono cresciuto e “sono” nuotato al punto che le mie braccia – dicono i sarti e i venditori di biciclette – sono un po’ più lunghe del “normale”, ma ormai a parte un fratello e pochi parenti, non ho più amici con i quali io mi possa “ri-conoscere”, con i quali possa dire di avere condiviso alcunchè negli ultimi 40 anni. E poi, last but not least, a Trento c’è Valentina con la “mia” nipotina Sara: vi pare poco? Altro mio luogo è sicuramente il paesello natìo del babbo, S. Angelo in Colle (Siena) vicino al quale c’è poi anche Montalcino (se non è campanilismo questo, è lui che è vicino a me, non io a lui!) … pensate, ci sono andato regolarmente in tutte le stagioni sino ai 10 anni, è poco, direte voi … nossignore … mi è restato il marchio di fabbrica della vita di paese, di tutte le successive fasi della campagna riguardanti grano, olio, vino. Ho visto costruire aratri e carri, ho condotto i bianchi buoi maremmani, ho tratto l’acqua dal pozzo, ho coltivato l’orto di casa, ho imparato ad accendere il fuoco (foco, in toscano, col le “o” aperte e la “c” molto aspirata) etc..
@camilla: quel libro sulla finanza l’ho comperato, letto e “postato”: presto lo vedrai sul blog. Grazie del suggerimento che a suo tempo mi desti. “La Fine” me la compero io al volo.
Buona lettura a tutti
La lettura di Quella sera Dorata, dopo aver incontrato l’autore, è un’esperienza che m’ha infervorata. Pavido ma vitale Omar m’è apparso un’ affascinante e coerente creatura. All’approdo al suo luogo mi ha fatto pensare al mio luogo, che non è uno ma molti. Per sentirmene parte devo imparare ad amare cose e persone, iniziando a pensarmi lì. Rimango ancorata, invece, all’idea del primo luogo in cui ho avuto tutta la famiglia accanto, in campagna con nonni e zii tutti insieme; condividendo la quite e la lentezza della vita contadina. Lì la luce t’avvoge da ogni prospettiva e il ricordo quella del tramonto rosso-oro che inonda la grande casa bianca mi rasserena e mi da pace.
Un abbraccio affettuoso a tutti.
S. Angelo in Colle. Un Paesello. Nonno Giuseppe, in Toscana, costruiva e impagliava piccole sedie di legno, di dimensioni via via crescenti man mano che noi nipotini si cresceva. Il Paese poi … era la tua casa, il luogo pubblico di tutti ed allo stesso tempo privato di ognuno: molti, la mattina, facevano colazione seduti sui gradini esterni della propria casa, per condividere anche quel primo gesto con gli altri … E quando noi “cittini” (bambini) “s’andava a ggiro” per le stradicciole in pietra e per quelle in terriccio, “s’era” custoditi dallo sguardo attento di ognuno. E quando ti assentavi un’intera giornata, in quanto ospite di parenti contadini in un podere fuori paese, al rientro eri apostrofato con un ” Oh do’ se’ stato ch’un ti s’è visto tutta la sgiornata (sic, sgiornata)?” Nessuno era estraneo al proprio prossimo. Crescendo e ritornando a trovare le Vecchie Pietre del Paese, imparai a valutare altri aspetti che da bambino avevo semplicemente registrato. Fra questi: l’accettazione della morte come fatto naturale; la cura ed il ricordo dei defunti, la quale si traduceva nella cura delle tombe di ogni defunto, anche di quelle non curate dai rispettivi parenti a ragione della loro lontanzanza; l’amore dei paesani per chi, ritornando a trovarlo, dimostrava a sua volta di amare il Paese. Vecchie Pietre, dicevo. Quando il Comune (Montalcino) decise di ripavimentare con pietre moderne l’accesso al paese attraverso una vecchia porta trecentesca, pietre “debitamente” zigrinate stante la ripidità della strada, ebbene, una delegazione di Paesani se ne partì da S. Angelo per andare a chiedere al Sindaco la restituzione delle Vecchie Pietre rimosse, arrotondate dai secoli, per essere ricollocate in altra strada del Paese, quale sua antica, irrinunciabile dote e testimonianza. Se questo non è amore … Ora mi direte: anche le strade di Genova che percorrevi rigorosamente a piedi, il saliscendi che scalavi giornalmente per recarti a scuola; anche i sassi del bagnasciuga che salutavi, abbracciandoli, al’inizio ed alla fine di ogni stagione balneare; anche gli amici del Club Alpino che ancora oggi ricordi e che ti ricordano, ora che si apprestano a riconoscerti l’aquila d’oro dei 50 anni di iscrizione …; anche gli scogli di Quarto, sotto i quali, qualche anno dopo la partenza di Garibaldi, hai conosciuto la tua Maria Teresa …; anche la tua prima casa da sposino, urbana ma immersa fra gli ulivi tal che non avevi voluto tende alle finestre … si, è vero, anche Genova è un “Mio Luogo”: vuol dire che io ne ho tre di Miei Luoghi …
Ah, cara Miki, mi sembra di vederti lì ad ascoltare il Peter Cameron che parla dei sui eroi sinceri. Il nostro luogo, credo io, è quello che ci accetta , non ci respinge, ci ama e noi lo amiamo.
Se qualcuno, ieri sera, ha visto “che tempo che fa” di Fazio, avrà ascoltato anche una bella signora, biondina e col faccino intelligente, che parlava del suo ultimo libro sulla guerra nei Balcani, Quella è ELVIRA DONES , una scrittrice albanese che qualche anno fa’ scrisse l’incredibile (per noi!) storia delle vergini giurate. Il romanzo si intitola , appunto, La vergine giurata”e racconta meravigliosamente una fantastica e terribile storia , dei tempi nostri, di una ragazza, nata nei monti dell’albania, costretta a diventare ….un uomo. Per sopravvivere. Se vi capita di trovare il libro in biblioteca, leggerlo è una vera stupefacente esperienza. Naturalmente il superficiale incontro con Fazio non ha minimamente reso a Elvira Dones quel che le sarebbe dovuto, visti i salamelcchi riservati a scrittori….vabbè. quelli delle classifiche di vendita. E’ una ottima scrittrice, coraggiosa e intelligente. Cittadina del mondo, ora. Una di quelle donne di cui il genere femminile deve andare molto fiero in questo mare di adoratrici della proiezione maschile del femminile da un lato, e di “militanti” conformiste di un femminismo di maniera dall’altro. Ciao ciao
Che bellezza questo libro! E che domande che ci pone/i! E’ vero, ci sono luoghi che sono rivelatori – per me Ithaca NY lo e’ stato – sia perche’ come dice Camilla ti amano e si fanno amare, sia perche’ conservano un “livello vibrazionale” piuttosto alto. non sono stata l’unica ad amare Ithaca: il Dalai Lama l’ha scelta come sede americana del suo tempio tibetano. Non c’e’ che dire, e’ un posto speciale, “perfetto” forse. Per me. Per altri no. Sono in questi giorni immersa in Murakami “Kafka on the Shore” e ne sono conquistata/stregata/inquietata. Spero di poterne scrivere…e’ un capolavoro. Anche qui si parla di luogo a cui tornare e di luoghi da cui scappare. Il viaggio… e’ sempre metafora interiore, come ama dire la nostra blogger. Saluti a tutti dalla “mia” Ithaca.
Ho letto anche io Quella sera dorata, spinta dal resoconto dell’incontro di Miki con Cameron. E’ riuscito a mettermi in pace con me stessa per un pò…Ochos Rios non sarebbe però il mio luogo ideale. Io devo stare in mezzo a tante gente, osservarla… Una grande città sarebbe forse il “mio posto”.
P.S : E’ vero Stefy. Kakfa sulla Spiaggia è un capolavoro. Io adoro Murakami Haruki ed il suo stile onirico e simbolico… Che bella la metafora del destino come una tempesta di sabbia… La ricordo ancora. Deve essere all’inizio del romanzo se non sbaglio…
Notte a tutti…vicini e lontani, da Trento a Roma a Ithaca…
Come è la tua Ithaca? Luminosa? E la sua architettura? Mi è venuta voglia di dissotterrare da una momtagna di libri l’ultimo romanzo di J.C.Oates che ho piantato lì mesi fa’ (troppo angosciante) ma che prendeva forma a Ithaca. Chissà che non possa farmi un’idea di questa città dal nome mitico. Ed è una cosa preziosa che tu dichiari il tuo amore per lei, senza piagnistei nostalgici. Qualcosa di non comune deve esserci perchè tu la ami, oltre al fatto evidente che tu sei fuori dal comune. Un saluto affettuoso,
Ithaca e’ sufficientemente “antica” da non farmi sentire nostalgia delle nostre “Itache” e sufficientemente diversa da farmi sentire libera come un uccello. E’ piena di verde e quando c’e’ il sole (di rado finora…) ha una luce di stasi benefica. L’aria e’ buona e fresca e si sentono gli uccelli cantare forte anche in citta’. Il mio primo ricordo “sonoro” del posto e’ stato all’inizio, quando ancora dormivo su un materasso ad aria nella mia camera, prima di comprare un letto vero. Avevo il sonno leggero della novita’ e ho sentito come un grande clacson che si ripeteva per alcuni minuti nella notte. Ho poi scoperto che era il treno merci che occasionalmente ci attraversa. Dicono che le case di Ithaca – alcune per la verita’ molto vecchie (badate, “vecchie”, non antiche, come diremmo noi) abbiano la conformazione particolare della lunghezza sul retro, dove i locali probabilmente accoglievano afroamericani in fuga dai secessionisti. Forse anche la nostra cucina e’ servita allo scopo. Beh, la prossima volta che scrivo un post metto un paio di foto di Ithaca cosi’ da dare un’idea! Camilla, mi fai arrossire…
@ Raffaella: mi piace Murakami perche’ spesso ti fa perdere la bussola infatti.
Che bello Stefania, postaci delle foto della tua Ithaca….
Riporto il passaggio che ti dicevo , per me stupendo sul destino…“Qualche volta il destino assomiglia ad una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra col dio della morte prima dell’alba. Perchè quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendentemente da te. E’ qualcosa che hai dentro. quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia. Attraversarlo un passo dopo l’altro. Non troverai sole nè luna, nessuna direzione, e forse nemmeno il tempo. Soltanto una sabbia bianca, finissima, come fosse fatta di ossa polverizzate, che danza in alto nel cielo. Devi immaginare questa tempesta di sabbia.†tratto da Kafka sulla spiaggia di Murakami Haruki.
@ Stefania -Scrivi talmente bene che mi pare di conoscere Ithaca. Il ricordo degli schiavi “liberati”, la luce e il canto degli uccelli e il treno. E la vostra cucina, dove parlate di cose bellissime.
a me non piace troppo Murakami. Non riesco a sentirlo vicino. ciao bellezze.
L’ho appena finito e sono un po’ “intontita”… devo digerirmelo un po’… Grazie Raffa! Si’, la parte “quel vento sei tu” mi fa venire la pelle d’oca…
Sto rileggendo, con attenzione necessaria e impossibile a una prima lettura “passionale” il bellissimo romanzo di Salvatore Scibona LA FINE ed.66thand2nd (nuova casa editrice di giovani ). Ogni parola è importante, è stata, lo si capisce benissimo, è stata pensata e ripensata e cambiata e ripresa e eletta ed è bravissimo il traduttore ma chissà che orgia di piacere e di cultura e civiltà di linguaggio è l’originale inglese, insomma un romanzo scritto a mano e ribattuto con una vecchia macchina da scrivere da uno scrittore giovanissimo che scrive come un Manzoni, per la cura e la riscrizione e la continua rivisitazione e correzione, e a Saul Bellow e a Doctorov per l’affresco di quell’america lontana eppure luogo assoluto, in ogni tempo, per tutti, ma anche si pensa in certi momenti della “signora Marini” protagonista femminile per oltre 93 anni, alla Molly Bloom dell’Ulisse, per come riesce, Scibona, a penetrare nellanima di una strana creatura fuori da ogni schema e talmente contemporanea nei suoi impulsi e nella sua umana miseria e nobiltà .E allora ogni pagina è un mezzo che si traduce in messaggio. C’è una forma abbagliante ma , al tempo stesso, è tutta sostanza, insomma l’arte di vivere per questi personaggi fantastici e l’arte di scrivere. Ciao a tutti