UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARA’ UTILE
pubblicato da: admin - 24 Aprile, 2011 @ 9:50 pmMi avvicino a Peter Cameron con un romanzo dal titolo tradotto alla lettera “Someday this pain will be useful“.
Si entra nella storia in modo sommesso: conosciamo James, il protagonista narrante di soli diciotto anni che ci presenta la madre appena tornata affranta da un altro matrimonio lampo fallito e  sua sorella Gillian, una giovane donna  piuttosto determinata.
James invece brancola nel buio: vuole innanzitutto capire e capirsi. Dice che non vuole andare alla Brown University ma che desidera  comprare una vecchia casa nell’Indiana per vivere un’altra vita.
Cameron è maestro nei dialoghi e leggerli è facile e godibile, ma il racconto non è così semplice come all’inizio può apparire. Lentamente apprendiamo grazie anche a minimi flashback di alcuni mesi del 2003 del profondo disagio di questo diciottenne definito “un disadattato” da una sua insegnante che l’aveva accompagnato, insieme alla sua classe, in un viaggio premio a Washington. E’ stato questo viaggio l’esperienza topica che ha innescato nel ragazzo la consapevolezza di un profondo malessere esistenziale. James rasenta veramente la sociopatia, ma tutto ci viene raccontato con leggerezza e con un malinconico sense of humor.
C’è in questo giovanissimo uomo l’angoscia di vedere le cose in un modo più inquietante di come appaiono. Per questo ed altro egli  viene mandato in analisi dalla dottoressa Adler che in una delle ultime  sedute gli chiede che cosa ha provato l’11 settembre.
E in un crescendo di eventi , di rivelazioni giungeremo alla fine a capire il doloroso percorso di formazione che James sta percorrendo.
Egli sembra non amare le persone, ma le osserva con estrema attenzione partecipando intensamente di loro peculiari istanti. In una notte d’estate, siamo nel luglio del 2003, James si incanta a “vivere” un momento magico  di una coppia di innamorati “Magari si erano innamorati cenando nel giardino di un ristorante…magari non si erano ancora dati il primo bacio e camminavano un po’ staccati perchè pensavano di avere tutta la vita davanti per camminare vicino, per toccarsi, e volevano gustare quel momento prima di toccarsi il più a lungo possibile…ma qualcosa in loro mi ha intristito. La scena era troppo bella: la notte d’estate, i sandali, i visi rapiti da quella gioia repressa. Mi pareva di essere stato testimone del loro momento più felice, del culmine che senza saperlo si stavano già lasciando alle spalle.”
James vive come un vecchio, ricorda il protagonista di Senilità già in attesa della fine. Durante il suo viaggio a Washington racconta alla psicoanalista  che visitando la National Gallery si era imbattuto in una stanzetta dedicata a Thomas Cole e ai suoi celebri dipinti sul “Viaggio della vita” dell’uomo.  Navi che vanno e vengono, ma è solo nel quadro “Vecchiaia”che James sarebbe voluto entrare  perchè la nave sta andando verso il buio. “Volevo saltare quella della Virilità . L’uomo adulto era terrorizzato e non riuscivo a capire che senso aveva il suo viaggio: perchè affrontare quelle rapide infide, su un fiume che sarebbe comunque finito nell’oscurità , nella morte? Io volevo essere nella barca insieme al vecchio, con tutti i pericoli alle spalle e l’angelo accanto che mi guidava verso la morte. Volevo morire”
E’ grazie però soprattutto all’adorabile nonna Nanette che James supererà il momento di stand by – quello in cui non è mai pronto per cominciare ad affrontare la vita – ; è infatti quando sta accanto a lei, nella sua tranquilla casa che non si sente più “estraneo”, “disadattato, disturbato. E’ la nonna che in una delle ultime pagine del libro e quindi del racconto spiega a James l’importanza e l’utilità del dolore. “..io penso che le persone che fanno solo belle esperienze non sono molto interessanti…Il difficile è non lasciarsi abbattere dai momenti brutti. Devi considerarli un dono – un dono crudele, ma pur sempre un dono.”
(Credo allora che tutti noi possiamo considerarci interessanti! )
Ah, i nostri diciotto anni così lontani ! Che cosa provavate?
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Cara Mirna, grazie degli auguri e del tuo sorriso sempre all’erta, pronto a far stare meglio chi ti incontra. Il libro, bellissimo, di Peter Cameron, è tutto quello che ci hai raccontato ma è anche , soprattutto, una piccola, abbagliante luce sulla nostra età dell’inizio della consapevolezza.Quando eravamo, quando si è ancora, innocenti e si vede chiaro al di là delle convenienze , del dover essere. Io sono sempre d’accordo con James, oggi più che mai, nel pensare che i disadattati o meglio, gli sbagliati , i troppo adattati, troppo “conformizzati”, troppo allineati al mediocre, coloro che hanno soffocato ogni originale sentimento, ogni vera autonomia di giudizio, siano le categorie dei genitori, insegnanti, psicoanalisti, eccetera.Io, a diciassette anni, ero come james e spero, di somigliare, oggi, alla sua nonna. E la frase del titolo “Dolor hic tibi proderit olim.” è di Ovidio, di cui mi sembra che si parlò molto in questo blog, l’anno scorso.
Anche per me l’adolescenza è stata faticosa, dolorosa, irta di insicurezze. L’età della formazione è un cammino difficile per noi occidentali, figli della cultura greco-latina e della sua consequenziale struttura familiare e sociale. Mi sembra di esserne uscita in parte proprio dopo aver compiuto i diciotto anni quando una “naturale” accettazione di me si è fatta strada e mi ha fatto fuggire dalle costrizioni del conformismo. Non più poesie sul desiderio di morire su un greto di un fiume, ma voglia di ridere, danzare, innamorarmi. E anni dopo che piacere leggere Margaret Mead, l’antropologa vissuta a Samoa per lungo tempo e rendersi conto di quanto ci siamo staccati dalla nostra vera natura.
E’ un lavoro datato, si parla di 50 anni fa, ma in quei tempi a Samoa e in altre culture meno “avanzate” non esisteva neppure il concetto di adolescenza. I bambini e i giovinetti vivevano nel villaggio e crescevano osservando il comportamento dei più grandi. Imparavano il sesso vedendo le giovani coppie fare l’amore sotto le palme e la luna, e crescere non era un percorso così tormentato ed egocentrico.
D’altra parte se non ci fossero stati i nostri sgomenti e ribellioni della “nostra” adolescenza e prima giovinezza non avremmo Leopardi, I giovani Werter e Holden, Horderlin, Cameron, ecc. ecc
…Beethoven, Schumann, Chopin… Siamo proprio figli di una cultura che ci impone sofferti passaggi di “stato”: dall’infanzia alla puberta’, dall’adolescenza all’eta’ adulta e poi nella cosiddetta terza eta’. Sembra che non ci sia niente di positivo in questi stadi mentre nell’antichita’ il raggiungimento di un’eta’ avanzata dava la misura del valore della persona. Ecco che c’e’ la figura della nonna in questo libro. E’ vero, io che non ho avuto un’adolescenza particolarmente ribelle ne’ sofferta – oserei dire che sono stata un’adolescente non conformista ma serena – ho sempre cercato la compagnia degli adulti e anche di persone di una certa eta’. Forse tutto sommato sentivo che queste persone potevano “dare” di piu’, erano meno concentrate sul proprio vissuto e in una posizione piu’ “alta,” con uno sguardo piu’ lucido sul mondo. Il punto e’ quando non si hanno punti fermi ne’ esempi positivi di adulti: li’ c’e’ la patologia. E poi c’e’ il fatto che l’adolescenza e’ una conseguenza della societa’ strutturata piu’ sulla famiglia che sulla comunita’. La famiglia diventa una scusa per non crescere e mira spesso al mantenimento di uno status quo che si allontana sempre piu’ dalla realta’ in divenire della vita. E’ vero, si soffre molto nei passaggi… ma ricordiamoci le “iniziazioni” delle societa’ tribali e delle sette esoteriche…bisogna a un certo punto aggredire no?
Ciao a tutti e buona Pasqua in ritardo…Sono stata a Roma ( ciao Miki! Avrei voluto incontrarti ma sotto le feste non volevo disturbare e in realtà in 3 giorni e mezzo ho fatto tutto di corsa, devo assolutamente tornarci !) e ho vissuto momenti di serenità impagabili. Sono stata alla Messa di Pasqua in S. Pietro, attorniata da migliaia di persone di tutte le nazionalità , anche non fedeli ma attirati dal bellissimo messaggio della Pasqua, un messaggio di rinnovamento e di nuova vita, in tutti i sensi. Pasqua ha la sua etimologia nella parola ” passaggio”, e anche l’adolescenza è un passaggio… Io , come Stefy, ho avuto un’adolescenza serena ed equilibrata… Il dolore è sopraggiunto più tardi, le prove mi hanno temperata e fatta maturare. Ma c’è sempre da imparare nella vita e condivido le parole di nonna Nanette, eccome…Bacioni.
Born in 1944. In famiglia nessun morto in guerra, nemmeno il mi’ babbo (toscano), benchè carabiniere non aderente ai tedeschi e quindi internato in Germania per 2 anni. I miei 18 anni? Terza liceo (classico, “naturalmente” per decisione di mamma professoressa di lettere. E “per fortuna”, aggiungo io oggi!), promosso. A settembre con Paolo Bartolini e Lorenzo Silengo a Calliano (Asti), quindici giorni nella casa del nonno di Lorenzo, in bicicletta nei boschi, fra le nebbioline del mattino. Si passa la sera scolando barbera, partite a scopa, sigari del nonno. Babbo trasferito da Genova a Cles, in Val di Non, dal generale De Lorenzo (cfr. “Eva dorme” di Francesca Melandri, Mondadori) e noi vacanze a Cavareno (stessa valle, in dialetto Ciavarèn). Le aspirazioni? Inizialmente un’incertezza … un anno di chimica industriale (perso), poi a legge. Conobbi le Dolomiti: qui nessuna incertezza. Immediatamente corso di alpinismo (CAI Sez. Ligure), quindi promosso Istruttore Sezionale. Inverno, sci nel “vecchio Piemonte” con il pullman organizzati dammè ( toscanismo: io dammè, tu dattè, egli dassè, noi dannoi, voi davvoi, essi/loro dassè): 50 ragazzi e ragazze scatenati dalle 5 della mattina a mezzanotte: evviva! Ragazze si, perchè no? Maria Teresa la conobbi a 20 anni io, 19 lei. Fuiii, è andata … sono salvo …! Ricordate, nel dopoguerra c’erano tre classi, in ferrovia. Noi s’apparteneva alla seconda classe (ferroviaria e sociale) con “obbligo di prima”, come i violini di un’orchestra. Prima dei 18 anni in casa entrarono frigorifero, televisione, giradischi … subito dopo l’automobile … Fiat 1200 granluce, di famiglia, presto sostituita da una 1500, ma babbo non guidava e quindi noi tre fratelli … Aspirazioni, dicevamo … noi figlioli (toscanismo) s’era (altro toscanismo) molto inquadrati soprattutto da mamma: tutti al classico e poi laurea di tipo classico, scegliete pure: medicina, ingegneria, giurisprudenza. E difatti i tre fratelli, le tre lauree: manco a farlo apposta. Unico colpo di reni, Alberto, oggi primario cardiologo, che a metà università si mise in proprio con la su’ ragazza (poi moglie). Tutto sommato, un panorama piatto rispetto ad altri diciottenni ben più avventurosi. Ricevemmo tuttavia basi granitiche, riconosciamolo, soprattutto abituati a non mollare mai sia in parete ( di granito o di dolomia, fa lo stesso) come nella vita, a volere/dovere progredire, soprattutto da mamma, la dura di casa. Babbo era più pacioso, un toscanaccio di spirito e di buon carattere.
Chevvoletechevvidica (altro vocabolo toscano, va scritto come è pronunciato, aspirando molto la “c” di “dica”). In parte ci costruiamo dannoi (vedi sopra) in parte veniamo forgiati dall’ambiente. The end.
Riccardo
Quando verrai a Roma di nuovo, cara Raffaella, sarei felice, molto, di vederti e trascorrere del tempo insieme, ti aspetto. Ribelle e furiosa col mondo da piccola, tanto da rinchiudermi e vagare dentro una bolla d’aria cercando di capire gli altri ed il mondo. Poi ho smesso di non vedere, confrontandomi e cercando adulti in grado di osservare cose e persone da “ogni angolo” con “prospettiva diversa” con ingegno volenteroso. la mia nonna mi dice che la vita “è a ondate” e non bisogna avere paura per troppo tempo ma fronteggiarla sempre, mantenendo la volontà di sognarci migliori e belli.