LA STANZA DELLA MUSICA di Namita Devidayal
pubblicato da: admin - 28 Aprile, 2011 @ 8:35 amRaffaella, appena tornata da un bellissimo viaggio a Roma, ci offre una storia che parla dell’India e della musica . Un romanzo che già dal titolo evoca atmosfere incantate.   Â
                                                               In queste ultime settimane sono stata letteralmente trasportata nel magico ed affascinante mondo della musica indiana grazie ad un libro molto interessante, La stanza della musica, di Namita Devidayal ( Neri Pozza, 2009).
E’ sì un romanzo autobiografico, di formazione se volgiamo ,dove la protagonista è una bambina a cui vengono impartite lezioni di raga e taan, che cresce , diventa una giornalista negli States ma torna spesso dalla sua guru, la maestra Dhondutai Kulkarni con la quale instaura un rapporto profondo di amicizia. Ma questo brevissimo riassunto è veramente limitativo per definire un’opera così complessa ed evocativa, che descrive un mondo antico ed affascinante , un viaggio che si snoda tra ricordi personali e aneddoti, e una miriade di richiami alla storia della musica vocale indiana attraverso storie vere e leggende.
Dondhutai è una delle più importanti cantanti viventi di musica classica indiana. Appartiene alla scuola Gharana di Jaipur, fondata da Alladiya Khan e, più tardi, rappresentata da Kesarbai Kerkar. Si dice che uno scienziato americano volle una registrazione del canto di Kesarbai da mandare in orbita, insieme ad opere d’arte e formule matematiche, per salvare una testimonianza del genio umano in caso di catastrofe planetaria.
L’incontro con questa maestra plasma Namita :
“Tornai a Kennedy Bridge la settimana successiva. Durante la nostra prima lezione, Dhondutai mi invitò a chiudere gli occhi e ad ascoltare il fedele compagno dei cantanti, il tanpura.
Io ero incuriosita dallo strumento, che somiglia a un sitar, ma produce solo quattro note, ripetute senza sosta. Dhondutai passò le dita sulle corde e un suono grave, ritmico e ipnotico, prese a colmare la stanza, creando un costante mormorio di serenità . Ben presto, tutti i rumori dell’ambiente – il ronzio del ventilatore, il ticchettare smorzato dell’orologio da tavolo, le grida occasionali dei bambini e degli ambulanti per la strada, il russare sommesso di Ayi, il sibilo della pentola a pressione in cucina – trovarono il loro posto in rapporto a quel suono di sottofondo. Da allora in poi, il nostro linguaggio fu quello della musica.”
L’iniziazione alle note per Namita è un’iniziazione alla vita e Dhondutai, personaggio tragico ma incredibilmente energico, una volta cantante famosa ma ormai dimenticata, vede il lei l’allieva perfetta, la propria riflessione nello specchio della vita che sta ormai volgendo al declino. Dondhutai, forse la vera protagonista del romanzo, ha dedicato la propria esistenza alla musica, non si è mai sposata proprio per donare interamente se stessa all’arte dei raga.
Ho preso questo libro attirata dalla copertina e soprattutto perché sono affascinata dall’India e dalla sua cultura. Ci sono alcune parti dove prevalgono le descrizioni didascaliche della musica indiana e dei suoi protagonisti ma non disturbano eccessivamente la narrazione. Nel complesso di tratta di un romanzo godibile e a tratti davvero sorprendente ed evocativo tanto che i raga che cantano Namita e Dondhutai pare di sentirli davvero…So che nel blog ci sono molti estimatori di musica.
Cosa ne pensate dei libri che parlano di questa meravigliosa arte?
 O parlarne è riduttivo ed è proprio necessario immergersi nell’ascolto delle note? Chiudo con qualche frase dell’incipit, che trovo molto bella.
“ Dondhutai cantava ad occhi chiusi, carezzando ogni nota con tenerezza , quasi si stesse avvolgendo lentamente in un grande bozzolo di musica. Avvertita la presenza di una fonte innaturale di luce, aprì gli occhi , ma continuò con il suo canto, seguendo con lo sguardo il percorso luminoso nell’angolo della stanza. Giunta alla nota più alta e più sublime del raga, udì un sospiro di piacere e le apparve la dea, sorridente. Sbigottita, Dhondutai chiuse gli occhi e quando li riaprì la visione era scomparsa. Posò il tanpura e andò alla porta a ritirare la bottiglia del latte. La sua giornata era cominciata beneâ€.
Raffaella
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Mi piace il tono di questa storia e mi piace come ce la presenti Raffaella. Per rispondere alla tua domanda, mi sembra che in generale, un libro che parla di musica debba “supplire” alla mancanza del suono con suggestioni sinestetiche e immagini poetiche. Nel migliore dei casi questo puo’ essere fonte di profonde emozioni e mezzo per un avvicinamento del lettore alla musica di cui ha letto, nel peggiore dei casi, si possono creare tutta una serie di luoghi comuni – per lo piu’ apocrifi o dettati da tradizioni gia’ estinte – che mirano ad un “veloce” coinvolgimento del fruitore con trovate “cheap”, da poco. Ne ho letti alcuni di questi libri, soprattutto riguardanti la nostra classica occidentale e ho dovuto piantarli li’ perche’ troppo ammiccanti. Come alcuni film – ma perche’ i film sui compositori e in generale sugli artisti non vertono mai sulla loro arte ma sempre sul gossip? – insopportabilmente alla melassa (ne cito uno che sconsiglio: “L’amata immortale”, ovviamente su Beethoven….).
Questo libro mi sembra al contrario molto delicato ed attento e cerca di introdurci in un mondo di percezioni altre e alte. Ma chissa’, magari un musicista indiano rabbrividirebbe?
Consiglio di leggere i commenti di Miki e Riccardo sotto il post precedente.
Mi piacciono i libri che parlano di musica. La musica è il suono del cosmo che ci accompagna sempre.
Sono d’accordo con stefania. a volte le arti vengono strumentalizzare (che parola ingombrante !) da alcuni scrittori. Da come Raffaella parla di questo libro non è sicuramente questo il caso. Io temo molto anche lo “sfruttamento” dell’India che in questi ultimi anni è stato un poco di moda. L’India Incantevole esiste più nell’immaginario che nella realtà . E’ difficile dimenticare le sue immense contraddizioni , le vite orribili di tanti suoi figli, sia nelle grandi città che nelle campagne. L’arcaico e il moderno , nelle loro forme più crudeli, confliggono in maniera atroce, e violenta. E questo è difficile ignorarlo. Riccardo ci aveva parlato di ADIGA, scrittore indiano davvero importante. Aggiungo la giovane <kiran Desai, con "Gli eredi della sconfitta" e il recentissimo romanzo di Tim parks, inglese che vive in italia, col suo romanzo " Sogni di fiumi e di mari". A tutti un saluto affettuoso.
(T= espressione toscana).
Nel paesello natio del mi’ babbo (T), classe 1912, S. Angelo in Colle (Siena) vicino al quale c’è Montalcino … (non viceversa, mi raccomando, ecchewipare!) (T), alcun amici del blog del resto lo conoscono per averci fatto insieme una bellissima giratina (T) di tre giorni, con il termine “la musica” (con la “c” molto aspirata!) si intendeva “la banda del paese”: “Gnamo, si va a far merenda alla Querceta, e sce (e sce, sic) la musica” (T). La “stanza” era un locale ben individuato, praticamente un piccolo magazzino del Comune, affidato alla gestione del mi’ nonno (T). Talvolta in inverno, vi si riuniva “la musica”, ecco … la “mia” stanza della musica! E che sorpresa scoprire che il ciabattino, il fabbro, il sarto, la levatrice, il macellaio, etc. tutti, insomma … anzi, ciascuno di loro “conosceva le note” e suonava uno strumento, compreso il mi’ babbo (T), anche se da ultimo, visto che non frequentava molto -noi s’abitava a Genova – (T), era stato retrocesso al ruolo di tamburino.
Bona (T) musica a tutti!
Dal tanpura indiano del romanzo presentatoci da Raffaella al tamburo suonato dal papà di Riccardo, al suono del pianoforte che mi ha accompagnato per tutta le mia vita di moglie e di madre per arrivare al mio passato di ragazza della beat generation.
La mia stanza della musica: la mia colorata cameretta da letto nella mia famiglia d’origine che alla finestra aveva, invece che le tende, delle decalcomanie appiccicate ad arte da me e sulle pareti gigantografie dei Beatles. Mio fratello quando entrava le baciava religiosamente a mo’ di immagine sacra sussurrando “Ciao John, ciao Paul, ciao Geroge, ciao Ringo”. Ed io nei pomeriggi solitari mentre il sole entrava e si rifletteva nello specchio dell’armadio ottocentesco accendevo il giradischi con un 33 giri dei Beatles, o di Bob Dylan o di Joan Baez, prendevo la chitarra e mi mettevo a strimpellare credendomi Joan Baez. Gonna e capelli lunghi,un fiore all’orecchio, espressione lontana e una gioia sconfinata nel cuore, la gioia che la musica sempre dona.
Sono stata recentemente nel Rajastan con un prolungamento a Varanasi, realizzando così un sogno, legato un po’ alla mia infanzia, che si incantava di fronte ai fumetti colorati che raccontavano le vicende del principe Nizar e della principessa Fiordistella, più avanti con letture come “Viaggio in India†e libri sulla complessa religione e mitologia di questo Paese, non dimenticando la curiosità che mi spinge sempre a voler constatare di persona, grazie soprattutto alle emozioni che possono suscitarmi un odore, un suono, un sorriso, un non detto.
Devo dire che sono tornata con la sensazione di aver incontrato un’India, che faceva già parte di me e che ho riconosciuto con commozione. Sicuramente ho verificato le immense contraddizioni di cui parla Camilla, ma non si può comunque prescindere dall’incanto della bellezza di certi luoghi sacri e non, e dal sereno rispetto che la gente ha nei confronti degli animali, incarnazione di vite precedenti.
Tornando a casa poi ho letto il libro “Sogni di fiumi e di mariâ€, rivivendo così l’inquinata Delhi, ma non potendo dimenticare l’ultima luminosa giornata trascorsa al Tempio Bahai (lotus Temple), luogo di culto per i fedeli Bahai, eretto nel 1986 e che ha l’aspetto di un fiore di loto semiaperto che galleggia sull’acqua, circondato dalle proprie foglie. Nel Loto vi è un enorme sala centrale dove vi sono parecchie sedie disposte a semicerchio. La gente si siede qui per meditare o pregare il proprio Dio. Bahai è una religione il cui credo è che tutte le religioni del mondo siano di origine divina.
Riferendomi adesso a ciò che scrive Raffaella e alla musica, il 30 agosto dell’anno scorso avevo parlato di un libro di un autore indiano, Siddhart Dhanwant Shangvi, dal titolo “L’ultima canzoneâ€, dove, fra l’altro, mi aveva colpito la musicalità del racconto, di cui comunque la storia è permeata.
Beh, allora, faccio il serio anch’io (ci riuscirò mai?). L’isola nel sole di Harry Belafonte, … this is my island in the sun … e poi Quel treno per Yuma di Frankie Lane … I want to ride again, on the three train to Yuma, that’s where I saw my love the girl with the golden hair. No a word between us was spoken, no the silence never was broken, but before she left me said a sad good bye … sad am I, to think of the chance that I missed .. I could cry, to think of the lips left unkissed … Nostalgia … Ieri sera ero a cena a Riva del Garda con alcuni amici svizzeri, roba di regate. Uno di loro, Patrik, ha sposato una ragaza messicana … la cameriera era portoghese: as senhoras gostam de beber vinho local? Muitu! E da qui siamo passati a parlare della saudagi, nostalgia, non del passato, qui sta il bello, bensì del futuro. Allora è vero che la vita ci può dare ancora molto! Lo sapevo … e lo auguro a tutti voi.
Riccardo
Buon primo maggio a tutti… Che bella questa atmosfera di internazionalità … Purtroppo viaggio poco ma lo faccio tanto con la fantasia attraverso la magia dei libri…Anche io sono come Enza, affascinata dall’India pur essendo consapevole delle immense contraddizioni che questo grande Paese in via di sviluppo porta in sè…Mi è stato regalato a Natale il libro di Calasso sui Veda, riuscirò mai ad iniziarlo? Non so se è alla mia portata, amo anche i saggi ma questo ,mi hanno detto è particolarmente complesso…Un bacione a tutti.
P,s che bella Mirna deve essere stata nella sua ” stanza della musica”, in mezzo ai Fab Four! Già ti immagino…
Da piccolina nella mia stanza studio avevo l’abitudine, ascoltando Patty Smith,B.Springstein, Rem, Dylan, di scrivere sul muro rosa, parole ispirate da assonanze e dissonanze evocate dalla musica. Sognavo , immaginavo luoghi, volti, inebriandomi d’emozione e di malinconia. Un libro che sa parlare di musica affascina, pochi libri sublimano quest’arte; sembra bello davvero questo suggerito da Raffaella.
@Riccardo: oggi sono stata rapita dal racconto “di uno stretto dal ruggito di leone vicino Gibilterra”, sai dirmi qualcosa Riccardo in proposito, mi ha incuriosito.Grazie.
Un abbraccio,
miki
un forum ( o un blog) serve a parlare di libri ma, penso io da tempo, soprattutto a parlare/ a condividere. Ecco il caso della musica, anzi della stanza della musica: la mia è qando – da piccolissima- il mio papà mi suonava il violino prima di mettermi a letto. Dovevo avere uno,due massimo tre anni. Lui era laureato al Conservatorio ma anche medico e la vita lo avrebbe messo di fronte alla scelta: o la medicina o il violino.
Il violino non dava pane, per cui medico fu e come medico si guadagnò la vita e ci permise (a me e mia madre) di vivere bene.
Il violino poi “faceva disordine” per casa, diceva mia madre (grande e somma castratrice di talenti e fantasie), per cui a un certo punto finì dentro un armadio o in cima, a prendere polvere.
Per mio padre deve essere stata una perdita enorme, lo è stata per me, e quando sono cresciuta e ho capito, è stato un lutto grande ( e una rabbia sconfinata). Ricordo il viso dolce e buono di mio padre, e quel violino con la custodia un po’ malconcia a prendere polvere in alto, sull’armadio.
Bene, come vedete, non tutta la musica ha un suono dolce.
Se volete, potrei mettere sul blog una sorta di recensione che ho fatto di
Un cuore così bianco di Javier marias,(libro assai bello e intrigante) ma è molto ( MOLTO) lunga, 4 pagine di word, per cui aspetto indicazioni eventuali da Mirna.
Proprio così, cara Cristina V., questo blog serve anche a confrontare e condividere i nostri ricordi, le nostre emozioni, il nostro vissuto… “fra un libro e l’altro”.
Così aspetteremo il tuo post che sarà spedito subito dopo uno di Riccardo già da tempo in giacenza.
E a proposito di Riccardo: devo ringraziarlo per essere riuscito ad organizzare a casa di Cristina (perciò un grandissimo grazie anche a lei e al suo salotto culturale – L’Accademia – ) un riuscitissimo incontro con Alberto Cavanna autore di molti libri sul mare e sulle navi. Cercatelo cell’Archivio. Ma ne parleremo domani quando spedirò il nuovo post perchè ho intenzione di mettere alcune foto della serata. Anticipo soltanto che Alberto Cavanna è una persona spontanea, modesta, che entra in sintonia immediata con gli interlocutori. E’ preparatissimo, ha il senso dell’umorismo e il dono colorato del saper raccontare..
India: in Rai Storia ho recentemente visto antichi documetari a colori che hanno immortalato la caccia alla tigre da parte dei colonizzatori inglesi. Si fa così: si prendono 20 elefanti con i loro “guidatori”, qualche centinaio di battitori, si circonda una radura con una sorta di palizzata di teli colorati, si fanno avanzare i battitori in semicerchio, “a chiudere”. La tigre si sveglia, incredula, prima ignora il baccano, poi si stanca, si infuria e aggradisce un elefante alle gambe. A questo punto dall’alto, gli eroici cacciatori la fucilano da 5-6 metri di distanza. In una settimana di caccia ne abbatterono 120 (centoventi). Che bravi! E poi la foto, con le tigri morte sdraiate una accanto all’altra e la moglie del diplomatico inglese, fiera, che posa per la foto ricordo, fucile nella mano (ma aveva il porto d’armi?) ed un piede appoggiato sulla carcassa di una “belva”. Ma chi sono le belve? This was India too!