LA BALLATA DEL VECCHIO MARINAIO di Coleridge
pubblicato da: admin - 10 Gennaio, 2011 @ 9:55 pmDopo aver letto  delle ossessioni di capitan Achab raccontateci da Melville in Moby Dick - questo simbolo del Fato contro il quale l’Uomo vuole combattere caparbiamente - occorre ricordare ancora un’altra sublime opera sul rapporto Uomo- Mare. O meglio Uomo-Natura.
 Questa volta si tratta di una Ballata di Samuel Taylor Coleridge.
The Rime of the Ancient Mariner appare nelle Lyrical ballads nel 1816, ma poi Coleridge lo rivede per eliminare l’ortografia rozzamente antiquata e per apportarvi dei miglioramenti.
Si tratta di un incantato componimento di avventure simboliche narrate da un antico marinaio che sembra un Caino o un Ebreo errante, secondo alcuni critici. Il marinaio si rivolge a un invitato a nozze e gli impedisce di recarsi alla festa, raccontandogli questa storia arcana ed avvincente.
Stanno salpando verso il  mare aperto, una nave lascia il porto “gaiamente” “sotto la punta del faro” “Below the lighthouse top“.
Ma improvvisamente gli avvenimenti si fanno strani: sorge una bufera a raffiche che inclina gli alberi, sommerge la prua. Cade pioggia mista a neve e ad un tratto “crebbe un portentoso gelo: e ghiaccio a altezza d’albero venne galleggiando, verde come smeraldo” “As green as emerald”.
In questa atmosfera fredda e gelata, dove il ghiaccio è triste e bello, respinto e desiderato appare l’Albatro, uccello di buon augurio che segue la nave.
Albatro, natura amica, creatura di Dio.
Ma che fa il vecchio marinaio? Con un gesto gratuito uccide l’albatro con la balestra. L’uccisione inutile dell’uccello rappresenta dunque la Crisi. La violenza gratuita vìola una profonda santità naturale.
“God save thee, ancient Mariner!”
Ma la maledizione arriva repentina. E le descrizioni che Coleridge fa di ciò che avviene rimane per sempre nell’immaginario del lettore.
Cade il vento, “giorno via giorno, giorno via giorno, restammo lì senz’alito nè moto, / immobile la nave come dipinta nave / su un oceano dipinto:”
Che sensazione di angoscia, di prigionia, di  impotenza terrificante.
“Acqua acqua ovunque -eppure non una goccia da bere“
“Il mare stesso imputridiva …sì, limacciosi oggetti con le zampe strisciavano / sul limaccioso mare“
Queste immagini, mentre studiavo questa Ballata per un esame di Letteratura inglese ,mi pietrificavano, ancor oggi se vedo il mare piatto, foschioso, sento giungere alla mente le immagini della vita che sembra fermarsi in modo malevolo.
Non solo la Natura, ma anche i compagni, morti di sete e di paura lanciano maledizioni al vecchio marinaio.
Infine appre una vela. La salvezza?
No, orrore dopo orrore. E’ una nave fantasma, il cui equipaggio consiste soltanto della “donna -spettro” e del suo compagno Morte che giocano ai dadi l’equipaggio.
Soltanto il vecchio marinaio sopravvive, solo, disperato, per sette giorni e sette notti finchè la luna sale nel cielo stellato  e una luce di calma pietosa illumina la nave.
Dalla sua solitudine e prigionia finalmente egli riesce a pregare, e l’albatro, che gli era stato appeso al collo come una croce, si stacca e cade “come piombo nel mare“
La maledizione per il momento è sollevata in seguito al riconoscimento della bellezza del cielo notturno pieno di stelle e persino dei serpenti d’acqua che circondano la nave. Il marinaio ha riconosciuto il “principio unitario della creazione” e così ha rimediato all’uccisione dell’albatro.
Riprende a piovere, gli spiriri dei marinai morti lo aiutano a ritrovare la rotta.
La maledizone non è cancellata  completamente per il marinaio che dovrà a viaggiare di terra in terra, narrare la sua storia e indicarne la morale.
Versi di quasi duecento anni fa, vividi, visionari, ma avvincenti tanto da essere incancellabili per il Lettore.
“La ballata del vecchio marinaio” è uno dei capolavori della letteratura romantica e come suggerisce Ginevra Bompiani, curatrice della stupenda traduzione di Mario Luzi “la ballata è la storia di una vocazione poetica: il marinaio sperimenta la morte nel corpo dei marinai, nel corpo della nave e del proprio; la sperimenta nelle membra, nell’anima e nello spirito; e tuttavia rimane vivo, perchè come ogni vero poeta è destinato ad attraversare la morte da vivo.”
Ah, poesia, lettura, immaginazione! Che compagni stupendi della nostra Vita!
Ho scalato montagne, da giovane. Ho veleggiato, da “grandeâ€. Per chi non si misura con sfide estreme, penso che il mare sia più pericoloso della montagna perché – se non altro – non ha anfratti ove rifugiarsi né è possibile scavarsi un igloo in attesa dell’alba. Io, comunque, non ho mai corso rischi gravissimi (gravi si).
Ho scoperto “cose†nuove, bellissime, indimenticabili ed ho imparato ad amarle. Ne cito due. Un’alba sul Brenta, in estate, dopo una nevicata; una veleggiata notturna dalla Toscana alla Corsica, con la mia piccola barca a vela da regata, guidato dalle stelle.
Apprezzo chi ha dedicato la vita interamente al mare o alla montagna. Io non sono stato capace di questa unidirezionalità . Dopo un po’, ho voluto sperimentare “cose†nuove. Praticamente sono un despecializzato, di quelli che non eccellono in nessun campo ma ne conoscono un po’ di tutti.
Da sempre il mare è stato un protagonista. Da quando si è dischiuso per lasciare passare Mosè ed i suoi; da quando ha cinicamente giocato con Ulisse; o quando si ribella e ci ricaccia in gola il petrolio che vogliamo estrarre dai suoi fondali. Orbene, con questo mio intervento vorrei gettare un ponte fra il passato e l’oggi del nostro mare. Poiché la “scadenza†del nostro blog sta per arrivare (19 gennaio), evito di proporre un nuovo post e mi limito a suggerire un libro: “Il mondo d’acqua†di Frank Schaetzing (Feltrinelli): “come un novello capitano Nemo, l’Autore ci accompagna in un viaggio che ci porta ben oltre 20.000 leghe sotto i mari per scoprire la relazione tra gli esseri umani ed un mondo che occupa i sette decimi del nostro pianeta. Una strana relazione, fatta di odio e di amore, di romanticismo e di ignoranza, di curiosità e di misteroâ€.
Tornando alla poesia, perché il mare è anche poesia, mi permetto di offrirvene una mia, dedicata ad un Mare che ho vissuto al largo di Genova, oltre il limite consentito alla mia canoa a remi, quella con gli scalmi esterni ed il seggiolino scorrevole, per intendersi, al tramonto, con i pescherecci anche loro al largo ma fra me e la costa, in un mare che letteralmente respirava con placide onde che si alzavano dolcemente senza increspature e senza movimento traslatorio, proprio un respiro … dicevo … un lenzuolo felliniano … a marcord, me lo ricordo, io e voi, ve lo ricordate?
Tramonto sul Mar Ligure
Non sai
dove l’onda di sale sia nata
se veglia
oppur se riposa
né quale sia l’ultima meta dell’ala incantata
che avanza e ritrae il suo velo
la liquida seta di sposa
ad un cielo
che colma lo spazio d’amore.
E senza rumore
la mente s’immerge nell’acqua
nuotando pian piano
per non farle male
e con la sua rete
cattura al ricordo le nuove emozioni.
Poi
tu alzi i remi
e come in un rito
depositi in mano al tramonto dei suoni
l’essenza feconda
di piccole gocce di smalto
prezioso vagito
che hai ripescato
dal fiordo abissale
profondo infinito.
E vento di luce
d’azzurro cobalto
sospinge la barca alla sponda
sorgente dal Mare
che ormai al Cielo s’è unito.
Buon Vento e Buon Mare a tutti!
Andando verso la scadenza del termine che Mirna si è dato per il suo blog, non posso fare a meno di notare come il mare e ricordi ad esso legati siano diventati motivi ricorrenti di quest’ultima parte.
Belli i ricordi di Riccardo, a mio avviso forse troppo modesto, quando dice di sé “…praticamente sono un despecializzato, di quelli che non eccellono in nessun campo ma ne conoscono un po’ di tuttiâ€. Secondo me questo é un merito in un mondo sempre più composto da ignoranti “specializzatiâ€. Comunque ognuno la pensi come vuole.
Tornando al post, aggiungo che non ho potuto fare a meno di ricordare, io che poeta non sono, la meraviglia che qui trascrivo, che parla di mare, di marinai, di albatri e di Poesia:
L’ALBATRO
Spesso, per divertirsi, le ciurme
Catturano degli albatri, grandi uccelli marini,
che seguono, compagni di viaggio pigri,
il veliero che scivola sugli amari abissi.
E li hanno appena deposti sul ponte,
che questi re dell’azzurro, impotenti e vergognosi,
abbandonano malinconicamente le grandi ali candide
come remi ai loro fianchi.
Questo alato viaggiatore, com’è goffo e leggero!
Lui, poco fa così bello, com’è comico e brutto!
Qualcuno gli stuzzica il becco con la pipa,
un altro scimmiotta, zoppicando, l’infermo che volava!
Il poeta è come il principe delle nuvole
Che abituato alla tempesta ride dell’arciere;
esiliato sulla terra fra gli scherni,
non riesce a camminare per le sue ali di gigante.
Charles Baudelaire
Come hai colto l’atmosfera di Coleridge, come Riccardo l’ha ricamata e come Enza l’ha potenziata.
Grazie a tutti e tre!
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