ECLISSE, di John Banville

pubblicato da: admin - 23 Dicembre, 2010 @ 8:49 pm

Entrare in un romanzo di Banville è lasciarsi trascinare in una sorta di gorgo  perchè la lettura delle sue pagine raddoppiano e triplicano a vortice ogni emozione, ogni scoperta.

La trama in sè parla della crisi di un attore famoso, Alexander,  che a un certo punto “crolla” in scena tra  lo sferraggliare del costume di Anfitrione. Eclisse, crollo nel buio, crisi esistenziale cocente nel disperato tentativo di unire il proprio Io con un Io diviso.

Il rifugio che sembra frenare la sua alienazione è la vecchia casa dei genitori ormai defunti. Una casa che era stata a suo tempo una pensione e dove sembrano aggirarsi non solo intrusi reali ma figure inquietanti, forse fantasmi.  Alexander è un attore, la sua vita reale è sempre stata intimamente legata alla vita recitata e a quella sognata. La conoscenza di sè  non è ancora completa, è  ancora divisa e spezzata da amletici dubbi.

Lascia dunque la moglie Lydia verso la quale prova uno strano rancore allontanandosi così  anche dal dolore della malattia psichica  dell’amata figlia Cass verso la quale prova un oscuro presentimento di tragedia.

Nella vecchia casa  si aggirano il custode e la giovanissima figlia Lily che lui osserva attentamente dandocene un’ambigua  descrizione alla Balthus. Alexander si lascia andare, in una sorta di pellegrinaggio e di ricerca. Vuole ritrovare il suo Essere e non il suo recitare. Ricorda la giovane donna spiata dalla finestrella del bagno quando nuda, essa si apprestava a vestirsi. Sapeva di non essere osservata da nessuno e proprio per questo i suoi gesti emanavano un’apoteosi di grazie e soavità.

Desiderio di scrollarsi la maschera in un sofferto viaggio di autocoscienza. Il suo fallimento è riconosciuto e quasi legittimato dalla tragedia familiare finale della quale sembra averne avuto la prefigurazione nella morte del piccolo gabbiano vegliato dal padre e nelle evanescenti figure che appaiono e scompaiono nella casa.

Il suo dolore e  la sua angoscia scuoteranno violentemente il suo egocentrismo autoreferenziale portandolo a “ un tardivo, ma struggente sussulto di vero amore “. La catarsi arriva alla fine dell’attesa del dolore quando a Porto Venere vedrà la giovane figlia morta.

“Accanto a me Lydia piangeva silenziosamente tra sè, in modo quasi riflessivo, sospirando a sua volta. Eppure mi chiedo se anche lei sentisse, come me, dietro a tutto quanto, dietro al dolore e alle lacrime incessanti, quasi impalpabile ma mai affievolito, il brusio di sollievo, sullo sfondo. Perchè adesso che il peggio era successo non avrei dovuto vivere nella paura del suo incombere. Così la ragione, colpita, formula la sua logica ferita.”

 

C’è poesia nella prosa di Banville che ci offre una lettura a più strati. Ogni pagina  è densa di ricordi, rimandi, non solo dell’autore, ma anche del  Lettore. Ed è questa la magia della Lettura, perchè noi entriamo nel racconto e lo possiamo persino arricchire o modificare con i nostri stessi ricordi o le stesse “intermittenze del cuore”.

Siamo in un mondo parallelo di visioni, monologhi, impressioni che ci spingono a scegliere il modo in cui leggere. Sta a noi afferrarci alla superficie o lasciarci sprofondare nel pozzo.

Naturalmente io mi sono buttata a capofitto nel mondo di Alexander, ho seguito con lui Quirke, il custode, fino al pub e mi sembrava che insieme a noi ci fosse anche Leopold Bloom di Joyce. Sono scesa alla spiaggia di ciottoli ricordando che anche Arsenio di Montale scendeva verso il mare.

Infine ho “ritrovato” un mio  giocattolo dimenticato; la gallinella di plastica gialla, su zampe lunghe ed esili; quando le si premeva il dorso deponeva un uovo di plastica. “Mi pareva di vederla…di sentire lo scatto della molla all’interno poco prima che l’uovo giallo scendesse a scatti lungo l’apposito canale e cadesse sul tavolo, sobbalzando.”

Ma non è straordinario tutto questo? Lo stesso giocattolo!!!

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2 commenti
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  1. La vigilia di Natale, se questo ha ancora un valore simbolico e in qualche modo lo ha, non poteva essere per me più interessante e anche più lieta nel trovare la recensione, ma cosa la recensione, il pensiero limpido di Mirna su un romanzo VERO di John Banville: Eclisse. Quanto me la sono goduta questa molteplice lettura,nel senso di letto e riletto, cara Mirna. E, a voce alta, mi fermavo e ci mettevo miei pensieri, mie considerazioni, mie esclamazioni di consenso beato. E alla fine, ho riletto due righe del testo , ultima pagina, un’immagine che mi si è fissata : “Cass, la fronte luminosa, l’aureola dei capelli color ruggine,il naso finemente disegnato e cosparso di lentiggini, quegli occhi grigio verdi che sono proprio i miei, il lungo pallido pilastro del collo….Mi sono sentito attraversare da un dolore intenso. Ho allungato una mano incerta per toccarla e l’ho chiamata pr nome, e mi è parso che lei si fermasse e rabbrividisse, come se mi avesse effettivamente sentito, poi, all’improvviso, è sparita, lasciando solo l’abbagliante alone del suo passaggio, che si è affievolito e poi spento………..”mia Marina, mia Miranda, oh mia Perdìta!…” Grazie , grazie e grazie.

  2. Anche qui, come prevedibile, io non ci arrivo, nel senso che non ho letto il libro … nè conosco l’autore (vergogna!?).
    Tuttavia, come ci ricorda Mirna, in questa sede oltre che a commentare libri, “commentiamo” noi stessi o “ci commentiamo fra di noi”, cioè ci confrontiamo, dialoghiamo, comunichiamo (ricordiamoci che comunicazione deriva da communis actio, azione comune).
    Ed allora devo dire che per una vita, quella lavorativa, io stesso ho “recitato” nel teatrino del mondo del lavoro, nel senso che solo ora, da neopensionato, comprendo. Infatti il mio vero io, che io stesso conoscevo molto meno di adesso, da emergendo ora, ora che ne ha il tempo, in misura sempre crescente.
    E il mondo che ora ho tempo di scoprire e di vivere è quello dei sentimenti disinteressati, della cultura per se stessa, della lettura, del confronto di idee (non aziendali!). Vi pare poco?
    Evviva i libri, chi li scrive e chi li legge ed avviva il nostro blog!