RACCONTO PER UN AMICO, o l'amore per la vita

pubblicato da: admin - 29 Novembre, 2010 @ 8:41 pm

Stamattina ho sentito per radio che stanno curando una nuova edizione de “La montagna incantata” di Thomas Mann, forse tradotta con il titolo “La montagna magica”. Un libro che segna la vita del Lettore che viene portato di peso nel mondo claustrofobico del sanatorio, metafora del malessere della civiltà occidentale dalla quale sembra non poter fuggire. Dovrei rileggerlo. Per ora è Stefania che si cimenta con quest’opera.

Il sanatorio, teatro della sofferenza umana, appare in moltissima narrativa sia come luogo  descritto da lontano, sia come esperienza vissuta.

Halina Poswiatowska l’autrice di queste pagine bellissime ne è stata testimone diretta. Vi soggiornò per parecchi mesi per curare il cuore indebolito da un’angina mal curata in tempo di guerra.

Queste pagine sono lettere, impressioni, ricordi che Halina racconta a un caro amico cieco che è stato nei brevi anni della sua vita adulta, una presenza costante, protettrice ed ammonitrice.

Halina nata nel 1935 e morta a soli 32 anni in Polonia, era anche una poetessa, venerata dai giovani del suo paese.

La sua scrittura poetica, chiara, immaginifica ci ricorda sia la Woolf che la Bachmann, dicono i critici. A me ricorda soprattutto Katherine Mansfield  sia per questo suo raccontare la vita, pur piena di sofferenza, come un luogo in cui essere felice “Fuori ogni cosa sembrava fatta d’oro. Gli alberi muoiono diversamente dalla gente, paiono quasi felici pdi morire. Forse perchè viene la primavera e rifioriscono…” sia per l’attaccamento caparbio alla vita che però soccombe   alla debolezza del corpo. Anche in Halina come in Katherine c’è un attaccamento sensuale, fisico, quasi biologico alla vita.

Ho riconosciuto un’amica in questa  donna per la quale vita e scrittura sembrano indissolubili, per la quale ogni istante di vita è prezioso come una conquista perenne e come una  nuova scoperta.

Halina ci descrive la sua infanzia, segnata dagli orrori della guerra, la scuola, gli amici, i primi amori, il tempo trascorso nei sanatori ad osservare la sofferenza altrui e a vincere la propria. Racconta del marito artista scomparso pochi anni dopo il matrimonio e del soggiorno negli USA  come ultima speranza per guarire.  Ed infine del ritorno in Polonia, dettato da nostalgia, imquietudine e disillusione.

Scrive al suo amico dal sanatorio:

Ci sono notti, amico mio, in cui il mondo finisce. Il mondo se ne va, lasciandoci con gli occhi sbarrati e le braccia inerti. Dapprima è come la coscienza di una rigida legge matematica, la consapevolezza che domani il mondo non ci sarà più. Ma in questo momento, tante volte vissuto, in questo momento che cresce e matura dentro di noi, anzi, nell’attimo finale di questo momento, com’è il mondo? Com’è, quando c’è e non c’è nello stesso tempo, quando con il respiro e con il gesto tentiamo di fermare la parte di noi che fugge senza ritorno?”

Deve scrivere, comunicare Halina Poswiatowska , perchè” il silenzio divide più della distanza, il silenzio uccide persino i pensieri “. E scrive lettere, diari, poesie.

E nelle ultime pagine del racconto per il suo amico dice: “…chissà se mai lo leggerai. Guardo con diffidenza il fascio di fogli scritti: sapranno le parole difendermi meglio del silenzio? E’ ancora possibile esprimere qualcosa con le parole? Le ho cercate con fatica, riguardandole più volte una per una, confrontandole con il mio amore e con il mio dolore. Confrontavo il desiderio con la parola desiderio, e per il mio amore più grande -quello per la vita -cercavo le definizioni più belle. Amo la vita, amico mio, …amo guardare gli alberi piegati dal vento e lo scintillio lontano del faro. “

Scrive queste righe mentre sta tornando dagli Stati Uniti verso la Polonia, con il cuore irrimediabilmente malato. E’ sulla nave:

Fuori di me sento il rombo dell’acqua schiumosa; dentro al petto sento pulsare, delicatissimo, il più sensibile degli strumenti che misurano il tempo: il cuore. E’ ancora debole, ma batte regolare e pompa, impavido, il sangue caldo.

Ascolta, amico mio: queste pagine non sono altro che il suo ritmo.”

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3 commenti
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  1. Altra figura di donna straordinaria… Grazie Mirna per arricchirci con queste splendide illuminazioni…Non smetto mai di imparare da questo blog, con te, Camilla, Riccardo e tutti gli altri… Sarebbe bello formare un gruppo di lettura… io lo sto cercando di realizzare invano nel mio paesello…In questi giorni ho avuto poco tempo per lasciare i miei commenti, ma ho sempre atteso con piacere che comparissero i nuovi post della sera…
    Una buona serata a tutti…

  2. Oggi mi sono svegliata TARDI, che bellezza. Però non ho avuto tempo per affacciarmi al tuo blog, cara, cara. E ora devo scappare in fretta (ma cosa diavolo dovrò fare , io pensionata, che sono sempre in giro? ) Mi piace leggere pigramente il tuo saluto del mattino, pensarci su, cercare le altre parole affettuose e simpatiche degli altri. Raffaella, che idea magnifica quella di un gruppo di lettura , anche se …..magari potresti leggere un libretto che si chiama “Invidia” della grande, sulfurea Muriel Spark. Ma certo incontrarsi su libri, con la grandissima maestria di Mirna, potreebbe essere un’esperienza vivificante e nutriente , più di ogni altra, per la mente. Chissà.Cara Mirna, la montagna magica (non più incantata ma magica, alla lettera, come il flauto magico ecc.)deve essere un evento editoriale sublime. Con note e commenti e meraviglie. Vorrei rileggere a questa nuova, squisita luce questo capolavoro. unico grave, per me, intoppo: è un meridiano. E quella carta preziosa e sottile, quel formato messale mi fa una impressione come abbracciare qualcuno bel avvolto nel domopack. I meridiani non riesco a godermeli. Sarò scema? Temo di sì. ciao a tutti, a domani mattina.

  3. Eccomi qui, chiamata in causa dalla citazione sulla “Zauberberg”. Che dire, ne leggo al massimo 10 pagine alla volta e ne ricavo una ricchezza di osservazioni, sentimenti e pensieri. E’ come una Bibbia, come lo è “Moby Dick” in effetti. La mia edizione è una del Club degli Editori su licenza Corbaccio, la carta è sottile ma non sottilissima e c’è un bel segnalibro cucito di stoffa blu. Un piacere. Mi ricordo sempre una frase che mi dice mamma sul tema sanatorio e malattie: il mondo è diviso in due, i sani e i malati. E la linea è spesso invalicabile anche con le migliori intenzioni. Il Berghof di Mann è questo: il ghetto “perfetto” dei malati, il posto dove si sentono sani perchè tutti nella stessa condizione, il posto che li protegge dall’aggressività del mondo “sano”. E’ un libro magico e mi fa piacere che la traduzione più moderna sacrifichi il suono per la sostanza, non quindi l’incantesimo che ha del sovrannaturale ma una magia, un incantamento molto umano, scelto per soffrire di meno. Il libro di oggi mi ispira molto, nelle sue riflessioni e nelle sue emozioni sulla fine del mondo. PS Se il circolo di lettura di Raffa ammette anche occasionali interventi in video-conference, consideratemi dei vostri!