ISTANBUL, ovvero Orhan Pamuk

pubblicato da: admin - 13 Luglio, 2010 @ 6:56 pm

Finalmente conosco Orhan Pamuk, lo scrittore turco vincitore del Nobel per la letteratura nel 2006. E in questa sua autobiografia avvincente ripercorro la crescita intellettuale- artistica  di un uomo sensibile che è tutt’uno con la sua città.  Dentro di sè, ci ripete tra le righe e con le tante fotografie in bianco e nero, è nascosta l’anima della città. Una città che lui ama e di cui vede la decadenza inevitabile, quasi che i colori sfarzosi del potente impero ottomano si siano cancellati per sempre per far emergere una Istanbul prevalentemente invernale.”…i parchi rimasti vuoti e trascurati nell’inverno e la fretta delle persone che d’inverno tornano a casa la sera nella neve e nel fango, tutto questo richiama quel sentimento di chiaroscuro nascosto dentro di me, come una felicità velata dalla tristezza…”  Un’anima bianca e nera, quella di Pamuk come le tante fotografie che costellano la sua autobiografia . Pagine pervase dalla hùzun, tristezza che ” è come un vapore sui vetri delle finestre, creato da una teiera che bolle continuamente in una giornata fredda d’inverno, perchè non ha un istante di trasparenza e appanna la realtà“.

La sua storia personale va in parallelo con la descrizione di Istanbul nei suoi più importanti momenti storici. Le sue epifanie, i suoi più grandi desideri sono strettamente legati a questa sua città vissuta, attraversata, analizzata con la lente come fa con i disegni di Melling. Pamuk vorrebbe diventare pittore, ma la sua vocazione lentamente lo porta a scrivere. E in questo libro sembra un pittore che dipinga con parole invece che con i pennelli.

Leggo con grande piacere questo romanzo, mi rinfrescano le immagini di Istanbul sotto la neve, del Bosforo sotto la luna, la bellezza struggente della tristezza,la huzun, che assomiglia un  po’alla saudade portoghese. In fondo la solitudine malinconica, il desiderio di raggiungere l’irraggiungibile è tristezza inconsolabile.

Pamuk racconta della sua infanzia, dei suoi genitori che litigano e che si separeranno, ci racconta delle scure stanze-museo del Palazzo Pamuk dove , su diversi piani, vive tutta la  ricca  famiglia paterna.

Ciò che mi affascina oltremodo è sempre la descrizione dell’anima di Istanbul, il suo destino che diventa il carattere del suo narratore. Città che vive la sua bellezza e  la sua vivace malinconia grazie all’arteria pulsante del Bosforo, lo stretto di mare che collega il Mar Nero al mar di Marmara e che separa l’Europa dall’Asia. Punto sospeso anche per la famiglia Pamuk che per alleggerirsi dalla tensioni familiari fa gite in barca sul Bosforo per  ammirare le antiche case di legno, il Corno d’Oro, i suoi tramonti fiabeschi.  Ma è il Bosforo al chiaro di luna che  il nostro scrittore ama soprattutto . Rilegge spesso Abdulhak Sinasi Hisar (1887-1963) che introduce la sensibilità di Proust e le le sue lunghe frasi. E proprio nel suo  “Chiari di luna del Bosforo” Pamuk ritrova il mondo particolare ormai scomparso verso il quale prova una cocente nostalgia  “…in barca nelle sere al chiaro di luna, sullo stretto, ad ascoltare la musica…contemplare la luce della luna e i suoi giochi d’argento…e quando la musica finiva e iniziava il silenzio dell’oscurità le acque, senza che ci fosse il vento, qualche volta sembravano ondeggiare con un brivido leggero.”

Purtroppo la Istanbul attuale  come tutte le grandi città è anche piena  di contraddizioni, violenza , vizi umani.   Ma il Bosforo del passato, quello disegnato, dipinto o raccontato c’è ancora e rimane sempre  una consolazione, una meta. “La vita non può essere così brutta – penso a volte -. Comunque, uno alla fine può sempre farsi una passeggiata sul Bosforo.”

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