QUELLI CHE NON DORMIVANO, Diario, 1944-1946

pubblicato da: admin - 18 Maggio, 2010 @ 8:08 pm

scansione0020Quando vedo un Diario non resisto, devo leggerlo. Questo di Jacqueline Mesnil-Amar, un’ ebrea francese, mi ha attirato subito sia per l’immagine di copertina che per gli anni di cui narra.  Nella prefazione viene spiegato che è un libro non “ancora letto”, benchè pubblicato una prima volta nel 1957. Ma  allora era troppo presto, non era il momento giusto. Erano passati soltanto dieci anni dalla fine della guerra e non si poteva dire tutto, molti non volevano ascoltare le verità dei deportati di ritorno dai campi nazisti, gli orrori, le denunce. Su tante testimonianze di guerra era calata una cappa di silenzio almeno fino agli anni Settanta quando finalmente si ebbe il coraggio di ascoltare.

Jacqueline Mesnil-Amar non è un’autrice, ha scritto solo questo diario, ma è una scrittrice, e che scrittrice! Il suo testo è imbevuto della lettura dei grandi autori e presenta non solo una rara sensibilità d’animo, ma un linguaggio preciso e nello stesso tempo poetico.

Se la seconda parte è la più difficile da leggere per i racconti terribili dei deportati e per le pagine dedicate ai bambini d’Israele che sono stati immolati, le prime pagine, più intime, scorrono veloci in un alternarsi di angoscia, speranza e gioia.

Siamo a Parigi e il diario inizia il 18 luglio 1944 quando André, suo marito,  non torna a casa.  André è membro della resistenza ebraica ed è stato catturato dai tedeschi . Sarà torturato e poi caricato sull’ultimo convoglio diretto a Buchenwald.

André e Jacqueline sono figli di ricchi francesi ebrei, ma ormai hanno perso tutto. Si nascondono, hanno documenti falsi, vivono momenti tragici come tutti gli ebrei perseguitati.

Per Jacqueline scrivere diventa un aiuto. Dopo una settimana dall’arresto del marito inizia scrivere per non affondare nella disperazione, per sentirsi viva. Fa giri e cerchi di parole per giungere all’essenza del suo sentire. Ripercorre i terribili anni dall’inizio della guerra, la fuga dalla loro casa, i vari nascondigli,  lo sbarazzarsi  dei documenti dell’OJC (organizzazione ebraica di combattimento),  la  vana ricerca di  conoscenze per avere un po’ d’aiuto. “Venderei i miei anelli, venderei la mia anima, la mia vita, ma non credo che sia abbastanza…Tutto accresce la confusione e l’orrore, tutto è nero e oscuro, ci si scontra con un muro impenetrabile.”

Nelle notti senza sonno, e dopo aver affidato la figlioletta a Nana che le nasconde nella sua casa, Jacqueline attraversa Parigi con la sua bicicletta. Le descrizioni della capitale francese sono bellissime:  ogni attraversamento di piazze, ponti, strade sembra un attraversamento di tutti gli stadi del suo dolore. Non sa nulla, non sa se André è ancora vivo. Scrive e come strategia consolatoria  ripensa ai bei viaggi fatti insieme. Ricorda Broni, l’isola verde dell’Adriatico, Venezia di notte , sotto la luna, la loro villa a Deauville quando erano felici .

Com’è incomunicabile, impermeabile e solitaria la paura!”  Le sembra che la sua vita parallela a quella di André in carcere sia quasi un tradimento. Lei è viva, osserva  l’ammirevole ed eroica attività di Nana che nasconde contrassegni, documenti, apparecchi di trasmissione;  si trucca, esce per incontrare amiche.

E finalmente il 6 agosto 1944 gli  Alleati puntano su Parigi.  A mezzanotte Jacqueline prende in mano il suo diario e scrive scrive; ricorda quando nel 1940 Pétain parlò con la sua voce tremante alla radio proclamando l’armistizio con i tedeschi,  le loro lacrime e tutto ciò che ebbe inizio  per i francesi e per  gli ebrei.

La speranza sta  rimescolando tutto - i brutti e i bei ricordi, il desiderio di “tornare ad essere ebrei”, di riprovare l’ebbrezza di vivere – quando viene a sapere che André è vivo e che è riuscito a fuggire dal convoglio nazista.

Il 25 agostoParigi viene liberata, i tedeschi sono in fuga, è arrivato De Gaulle,  la gioia è contagiosa, tutte le campane di Parigi suonano. Le ragazze con i rossetti vivaci e le gonne a fiori esultano per le strade.

Scrivere per aiutarsi, sempre. Jacqueline scrive anche alla finestra, in casa di Nana. “Perchè? Forse solo Dio lo sa. E’ la mia forma di ricamo, un’evasione, come per mia madre?”

Mi piace questo paragone della scrittura con il ricamo, in fondo è sempre un soffermarsi sui nostri pensieri e sulla nostra vita, punto dopo punto.

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3 commenti
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  1. Il non dicibile rimane, spesso, segretato. Chi ha custodito segreti tanto pieni di dolore e di orrore da impedirgli non solo di poterne scrivere, che , come dici tu, è di per sè una piccola medicina, ma di pensarci , persino e quindi di trovare parole per dirlo, finalmente, ai superstiti, ai figli a coloro che ama, chi ha vissuto atrocità simili fugge, per anni a volte, da sè stesso. Date parole al dolore , dice W.S., e dare parole al dolore permette di riprendere il respiro della vita, di raccontare. Recentemente Gad Lerner ha scritto , proprio su questo, un magnifico libro : Scintille. Disfa ogni retorica, ogni luogo comune Gad Lerner e scrive pagine sapienti, straordinariamente importanti per capire quanto male faccia il silenzio delle generazioni precedenti, nella tragedia estrema dello sterminio nazista ma anche nella vita di tutti noi. dove le verità occultate hanno saputo far nascere incomprensioni e drammi, dolori e odi per altre generazioni.Ti ringrazio sempre , cara Mirna, per il generoso impegno.

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