ETHAN FROME, un vinto
pubblicato da: admin - 2 Maggio, 2010 @ 5:10 pmChissà da quale grande empatia o profondità dell’anima scaturiscono, nei grandi scrittori, personaggi come Bartleby o Ethan Frome!  Vite inventate o incollate dall’osservazione della vita così variegata, splendida, ma anche terribile che scorre intorno a noi?
Turbata dal nichlisimo di Bartleby che non riesce a trovare dentro di sè l’élan vital di cui parla Henri Bergson, ho ripensato ad altre storie dove il destino non aiuta questa ricerca. Parlo dei Vinti. Coloro che non riescono a sottrarsi al Fato che incombe. Perchè non ce la fanno per motivi esterni da sè (penso ai Malavoglia  soggiogati da un potere dal quale non immaginano di potersi scrollare ) o perchè un interiore imperativo categorico li tiene prigioneri in una vita squallida e amara. Ed ecco Ethan Frome questo straordinario personaggio inventato ( o forse no?) da Edith Warthon, la scrittrice americana, “discepola”di Henry James, che ha perlopiù scritto della dorata alta borghesia statunitense. Qui lo sfondo non è la New York del “L’Età dell’Innocenza “, ma è una “scabra America rurale” dove vivono poveri e stanchi coltivatori alle prese con una quotidianità di sacrifici e fatiche. Non più conflitto tra individuo e gruppo sociale; qui ci troviamo nell’ambiente ruvido, aspro di un misero villaggio, Starkfield, nel Massachusetts.
Questo breve e cupo racconto inizia , come nei romanzi classici dell’Ottocento, con un’introduzione del  narratore che racconta come, tassello  dopo tassello, sia giunto alla conoscenza di una terribile storia. Arrivato nel villaggio il narratore è subito incuriosito da un personaggio notevole “Già allora era la figura che colpiva di più a Starkfield, benchè non fosse che un rudere d’uomo. Non era tanto la sua statura gigantesca a dare nell’occhio…era la sua figura assorta, possente…I suoi passi zoppicanti lo facevano apparire come uno che strattona una catena. C’era qualcosa di desolato e inavvicinabile nel suo volto… Ethan Frome era così irrigidito e  grigio che lo scambiai per un vecchio …”  La mirabile descrizione di Ethan sembra riassumere tutto il suo destino.
“Ha quell’aspetto dal tempo dello scontro e fanno ventiquattro anni il prossimo febbraio“ racconta  un abitante del villaggio che, insieme agli altri nativi, darà un quadro completo della vicenda.
Si parte allora da un triangolo amoroso. Ethan sposa per gratitudine Zeena la quale , dopo aver ha accudito per molto tempo la suocera ammalata , diventa ipocondriaca, spigolosa, acida, arcigna. Per aiutarla viene chiamata la sua giovane cugina Mattie, vitale, sorridente che sembra illuminare l’inverno esterno e interiore di Ethan, prigioniero di una solitudine e disperazione dalla quale non riesce a fuggire. Scoppia la passione, delicata, senza sentimentalismi, realistica. Uno spiraglio di possibilità , forse nella fuga? Dentro di sè, Ethan sa che non potrà mai farlo, per senso del dovere, ma  soprattutto per l’estrema povertà che non consente l’inizio di una nuova vita.
La situazione è insostenibile. Durante la memorabile corsa in slitta con la quale Ethan deve accompagnare Mattie (scacciata da Zeena) alla stazione, i due innamorati decidono di uccidersi lanciandosi in una folle corsa contro un olmo. Uno scarto da parte di Ethan… però …nel momento in cui “si parò la faccia di sua moglie, con i mostruosi lineamenti sconvolti…”non permetterà loro di morire.
Il destino beffardo, crudele non concederà loro neppure la morte insieme, bensì ferite e menomazioni. Mattie rimane invalida e Ethan zoppo. Ripiombano nella prigione della loro condizione, vinti, in un “implacabile trio con Zeena,” sotto il dominio di Zeena, che li avrà in cura e li  controllerà .
Anche la scrittura di Edith Warthon è asciutta, spoglia, raggelata come raggelati sono  i protagonisti.
Non vedo l’ora di sfogliare le pagine dell'”Età dell’innocenza”, dove il racconto si snoda fluido, consolatorio e dove l’immaginazione e l’immedesimazione possono danzare leggere nei bellissimi salotti dell’aristocrazia statunitense di fine 800. E riguardare semmai lo splendido film di Scorsese.
La lettura apre veramente un mondo infinito : bellezza, crudeltà , gioia, dolore. E il confronto con se stessi.
Mi fa piacere che il blog venga letto da tante persone, anche da molti che non lasciano commenti, ma che mi scrivono e-mail, sms o mi telefonano. Sono onorata anche del commento che Greg Dawson ha scritto dopo la presentazione del  suo libro “La pianista bambina.”
Ho visto il commento di Greg Dawson. Complimenti… che emozione…Ethan come Tess of the d’Ubervilles… personaggi segnati da un implacabile destino…
Mi viene in mente anche Jude the Obscure, Giuda l’Oscuro… A volte questi romanzi così duri mi destabilizzano…Sto leggendo ora Trilogia della Città di K. di Agita Kristof , anch’esso nichilista e pessimista…
P.S . che simpatiche le edizioni Cento pagine Mille lire… Ne collezionavo tante , alcuni libricini non so più che fine hanno fatto! baci raf
Ho lasciato una parola nel sito della pianista bambina dopo aver letto l’intervento dell’autore. Che cosa bella, cara Mirna.———-Edith Warton è una delle grandi scrittrici americane che amo e che mi hanno dato moltissimo. C’è una vena d’oro tra le scrittrici americane, talmente ricca e importante che davvero meriterebbe di essere ricordata e letta e riletta. Nel 2009 uscì , ad esempio, l’ultima esplosione nucleare di Joi Carol Oates “Sorella, mio unico amore”, un libro di una potenza assoluta, perfino Piperno ne parlò, sbalordito sul corriere. , anche Paula fox è ancora in piena attività e ci regala libri magnifici. Per non parlare della Strout e di questa ultima J.E: Watson. Davvero le scrittrici americane sono all’avanguardia nella letteratura contemporane, assieme alle indiane, alle giapponesi, alle australiane e alle canadesi. quanti bei libri, mia Mirna, mi saltellano in mente. chiudo e chodo scusa della mia eccessiva …..eccessiva. ti voglio bene.camilla
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