BARTLEBY, LO SCRIVANO, ovvero l'incomunicabilitÃ
pubblicato da: admin - 1 Maggio, 2010 @ 7:02 pmMentre scrivo sento giungere da Piazza Dante l’eco di discorsi e canzoni  per la Festa del lavoro. Mi tornano  subito  in mente le  allegre celebrazioni per il primo maggio vissute a Carpi, tanti e tanti anni fa. Al mattino nella nostra via “Cantarana”, come in tutte quello del centro, si era svegliati dall’allegra banda municipale che suonava inni e marcette su un camioncino aperto. Questo avanzava lentamente, sostava davati al bar per far rifocillare i musicisti, poi  si fermava sotto la nostra finestra…e suonava un piccolo brano soltanto per mia madre affacciata con me …perchè il capobanda, un bel giovanottone dai capelli rossi, era stato un suo antico corteggiatore.
Ma, oltre ai miei ricordi,  c’è anche  un personaggio letterario che “vuole entrare nel blog”: è Bartleby, di  cui non conosciamo il nome di battesimo, che viene assunto come copista  da un avvocato di Wall Street…
E’ uno dei racconti più belli di Herman Melville, pubblicato nel 1856.
“Bartleby, the scrivaner” per Beniamino Palcido rappresenta “…il lavoratore alienato in rivolta contro il capitale.”
Se all’inizio Bartleby sembra essere un lavoratore coscienzioso e instancabile, soltanto un po’ eccentrico, col passare del tempo si rifiuterà di svolgere altre mansioni, replicando ad ogni ordine con “Preferirei di no “, “I would prefer not to”.
Il racconto è in prima persona, il narratore è l’avvocato anziano di uno stimato studio legale di New York che ha bisogno di un altro copista, oltre i due che già lavorano per lui. In risposta alla sua inserzione si presenta un giovane che rimane immobile davanti alla porta aperta dello studio, una  “figura così sbiadita nella sua decenza, miserabile nella sua rispettabilità , così disperata nella sua solitudine”. Viene assunto proprio per il suo aspetto tranquillo. Bartleby lavora dietro un paravento. Scrive, scrive meccanicamente, “pallido e silenzioso”. Un giorno gli viene richiesto di esaminare un documento, ma egli, senza neppure uscire dal suo rifugio risponde con tono dolce e fermo “Preferirei di no“.
Perchè l’avvocato tollera questo comportamento? E’ incuriosito, intrigato, impietosito da Bartleby, dalla sua tristezza e dalla sua caparbietà . Col passare del tempo Bartleby rifiuterà anche di copiare, e rifiuta di essere licenziato. “Preferirei di no“, risponde all’ingiunzione di andarsene. L’avvocato trasloca perchè Bartleby ormai non si muove più da questo studio in Wall Street (Strada del muro)che è diventata la sua casa-prigione, la sua chiusura esistenziale. Lo incarceranno nei Tombs dove morirà . Il suo datore, dopo essersi informato sulla sua vita precedente, non potrò fare a meno di  esclamare “Oh, Bartleby! Oh, umanità “
Quante interpretazioni suggerisce un personaggio siffatto! Centinaia di saggi, in America e altrove. Un critico letterario , Gianni Celati, ci spiega che l’avvocato sembra Re Lear con accanto a sè il povero pazzo.  Bartleby è una figura senza alcuna possibilità di salvezza o questa è una storia dell’alienabilità “d’una vita quasi morte nell’America del protocapitalismo”?
Bartleby, così moderno, è antesignano certamente del malessere del vivere contemporaneo in cui ci sembra di aver perduto insieme ai valori spirituali, sociali, politici anche la capacità di comunicazione.
E’ vero ciò che disse un giorno Ezra Pound “Parlare è inutile”?Â
La resistenza passiva di Bartleby di fronte alle grigie giornate senza senso, se non per ottenere il cibo, ci indicano di quanto è importante il tipo di lavoro che possiamo svolgere.
 Eroe o antieroe? Enza parla di Bartleby come di una sorta di rivoluzionario che , contro il tran-tran quotidiano, il potere, l’allineamento ha avuto la forza di cercare la propria libertà interiore, esercitando la sua resistenza con i suoi  “Preferirei di no“. Anche a costo della vita.
Non so bene il perchè ma la lettura di Melville mi ha sempre sbattuta giù dall’asse di equilibrio. Ho letto saggi fantastici sia sulla balena che su bartleby, senza riuscire mai ad appassionarmi, a fare quello sforzo necessario, sempre necessario, per spingere la propria comprensione dentro le grandi oscurità della propria mente. E, a un certo punto, con questo autore immenso e lontano e impervio, ho detto a me stessa : preferirei di no. Ciao Mirna, ti devo chiedere un piacere e un consiglio. ma non oggi. E tu mi potrai sempre rispondere :preferirei di no.
post scriptum :io credo che l’essere umano abbia il diritto a cercare in se stesso la felicità , aprendosi al mondo , non chiudendo il mondo dentro di sè. Cerco il duende, e spesso lo trovo. Il nostro scrivano non aveva mai provato il duende. Ah! Il DUENDE che è dentro il nostro sangue. A me l’ha insegnato Garcia Lorca.
E’ vero, anch’io sono convinta che l’essere umano debba aprirsi sempre al mondo che lo circonda, ma anche donare quell’enorme cosmo che è dentro di noi. Però, in certi momenti della vita, chiudersi in se stessi è come chiudere il mondo fuori dal proprio animo. Quando il dolore è troppo grande tutti abbiamo bisogno di quel “paravento” che, come una maschera, ci protegge. Da cosa? Forse dalle parole o dalla pietà di chi crediamo più fortunato di noi, non lo so. Solo quando il nostro animo si è saziato un pò di autocommiserazione, si ritrova la luce vera, quella che ci riporta tra coloro che ci amano.
Però quante volte sarebbe bello poter dire “preferei di no”….di fronte alle difficoltà ! Ma prima o poi tutto viene a galla e allora meglio affrontarle sempre e comunque. Questo me lo ha insegnato la musica. Un abbraccio Cris
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