Pensieri sparsi…in borsetta
pubblicato da: Mirna - 14 Gennaio, 2017 @ 3:31 pmLavorìo costante della mente.
Pensieri che girano come trottole, si rincorrono, si azzuffano, talvolta si perdono.
Necessario è  talvolta starsene da soli per lasciare che la mente sia sincera e non condizionata dall’altro.
Allora riesci a chiederti  e forse a risponderti  del perchè della recrudescenza della gastrite, riesci a capire la tua necessità di passeggiare sul lungo fiume in mezzo alla neve fresca saltando una lezione di storia dell’arte.
E una passeggiata solitaria “sola e pensosa” può fare bene.
Forse ho capito perchè mi fa male lo stomaco: decisioni da prendere, golosità eccessiva, somatizzazione di qualche disguido interpersonale.
Mi chiedo però perchè non con tutti riesco a confidarmi.
E qui riemerge il quesito sull’amicizia.
Quella  profonda, quella  superficiale o quella mascherata.
Per una solida amicizia, quella nella quale ci si confronta con affetto, attenzione e partecipazione sembra sia necessario aver condiviso qualcosa di importante in gioventù oppure aver trovato delle consonanze e affinità elettive forti.
Certo che senza l’altro da noi non possiamo crescere e cambiare, imparare a conoscerci.
Siamo animali sociali e lo stare insieme ci conforta, ci rallegra, ci fa sentire meno soli.
Sta a noi scegliere e decidere chi ci fa bene.
Stare con coloro  che ti lasciano sempre una parvenza di sorriso e il ricordo di  parole tra noi…léggere… o meno.
Finalmente ho scoperto come rispondere sul tuo blog. Ti trascrivo parte delle mie elucubrazioni sull’amicizia che ho pubblicato nel mio libro:
Dal mio nido interiore, o meglio dalla casa che ho costruito con tutta la mia esperienza, posso decidere di uscire, senza essere cacciata, in cerca di compagnia, perché i rapporti interpersonali ci obbligano a uscire dall’isolamento e a smettere di essere centrati solo su noi stessi. La condivisione di idee e sentimenti, la convivenza e il rumore, che mi costringono ad abdicare per un po’ a una me stessa più reale che si sottrae al silenzio, sfoderando però aspetti sociali che pure mi appartengono e che condivido con molti altri da me in “uno, nessuno, centomila” modi e che servono a distrarmi, non solo, anche a cercare brandelli di affetto, esperienze altre, motivazioni al vivere, cultura. Le relazioni ci permettono di scoprire altri lati di noi stessi, o vite coesistenti o parallele. Spesso in compagnia mi ritrovo ad aiutare gli altri con un ascolto, un consiglio, un augurio. Gli incontri si possono allora usare non solo per sviluppare consapevolezza, ma anche per allenare gentilezza, compassione, perdono, rispetto, pazienza.
In solitudine, viviamo. In compagnia, recitiamo la vita.
Ma la compagnia serve soprattutto a raccontarmi in una quasi giornaliera cronaca di fatti ed emozioni regalati a quanti sento come amici e che mi ricambiano della stessa intimità . Stare con gli altri è anche un modo per estrapolare da quell’identità che chiamiamo io, altri io che coesistono come ombre, pronte a concretizzarsi in modi di vivere esperienze diverse, come accade nei sogni, dove è depositata tutta la nostra memoria, o chissà , in universi paralleli dove possono esistere altre versioni di noi, come suggerisce, ma ancora non dimostra, la fisica dei quanti.
Che poi, cos’è la solitudine? E’ il mio terzo nido nel quale mi riscaldo con le sensazioni e i pensieri della giornata trascorsa e con la speranza che qualcosa succederà forse domani. Nel nido che mi porto dentro e che trascino anche in una passeggiata nella natura, nel rilassamento profondo, nel sogno, nel sostare incantata a guardare il colore del cielo, nel mio letto dove intraprendo un colloquio costante con me stessa, un parlare con un altro io che conforta, sollecita, incoraggia, sprona, critica, illude, come un saggio a cui fare ricorso nei momenti bui. Solo in questo spazio di tempo però mi sento completamente vera e nuda, mentre se esco da questo monologo per rapportarmi ad altre realtà che hanno saputo meglio o peggio di me non soccombere, le cui verità collimano o divergono con le esperienze vissute è come se dovessi indossare abiti di circostanza, cuciti per coprire in parte il mio più profondo sé.
Gli altri: gli avi, le amiche, i parenti più stretti, gli assenti, che solo per poco ci sono passati accanto, ancora parlano dentro di me in una babilonia di voci urlate, o sommesse, di silenziose lacrime, di forza nella sopportazione, di gioie di quel presente, ora passato: una parola che serve ancora per consolarsi o per avanzare, un tutto fragile e caotico, ma sempre presente a ricordarci chi ci ha plasmato con amore, con una frase, con un proverbio, con uno stile di vita, con un tradimento, una bugia, una malignità , un’offesa, una violenza. Siamo tutti loro, nostro malgrado, secondo una discutibile legge di ereditarietà emotiva. La solitudine come monologo diventa a volte conferenza, deposizione nel tribunale della vita dove testimoniare il perché delle nostre azioni, dei nostri sogni, tribunale dove accusare chi continua a uccidere il bambino che è in noi, che si ripresenta ogni mattina a richiedere il compimento di un antico scopo e con esso di salvare almeno il desiderio che avevamo riposto in tutti i progetti di crescita e in quelli sempre tendenti a raggiungere la completezza. In questo caso la solitudine è anche creatività .
Grazie Carla del tuo pensiero. La tua scrittura profonda, evocativa ha ampliato le brevi pennellate del mio sentire sull’amicizia che in grandissima parte condividiamo. Il mondo che ci circonda, oltre al nostro Io che “esce” è un bosco di intrichi che sta a noi rendere percorribile , ameno e meno deserto.
Il tuo libro è sicuramente un “amico” da leggere.
Adoro Andreoli, sto proprio leggendo il suo ultimo libro.
C’è un sentimento che domina il nostro tempo: la paura. Vittorino Andreoli lo dice da tempo.
Ma c’è anche un impulso: non sappiamo più aspettare. Tutto avviene in tempo reale. Non cerchiamo: troviamo tutto nel motore di ricerca. Siamo in connessione con tutti, ma viviamo in una dimensione virtuale e tutto ciò che diciamo nel mondo digitale rimane per sempre: è pubblico, non è più nostro. E’ l’uomo digitale: poca memoria, poca storia, tanto presente, poco futuro. Vittorino Andreoli è da sempre un attento osservatore dell’Homus Tecnologicus. Un uomo che sempre più appare come potente e fragilissimo.
Nel suo libro (edito per Rizzoli) “Nessuno” parla dei giovani: i nuovi, i veri nessuno, che nessuno ascolta e nessuno considera. In “L’uomo di Vetro” aveva invece svelato di essere un uomo fragile e di aver potuto guarire i suoi ‘matti’ – li chiama proprio così – grazie al fatto di essere profondamente debole. “Solo l’uomo fragile sa entrare nell’uomo spezzato, prova amore e entra nel dolore: perché lo ha conosciuto”.
Nel successivo “L’uomo di superficie” (Rizzoli) la domanda fu: cos’è successo all’uomo, alla civiltà ? La risposta non è confortante. “Concentrati su un qui e ora puramente corporei, abbiamo ucciso tutti gli dei e reso la bellezza l’unica nostra religione”. Era l’uomo che coltiva…la cute, ovvero la sua superficie.
Andreoli non dà giudizi né offre ricette, non ha certezze né dogmi da imporre. Ha però uno sguardo profondamente umano, e la consapevolezza della sua e nostra fragilità , l’unica meravigliosa forza su cui possiamo e dobbiamo contare per risorgere. Come? Puntando sui giovani, sull’educazione. E sui sentimenti
Professore, cosa sono i sentimenti?
Legami che ciascuno di noi stabilisce con l’altro per trovare gratificazione e sicurezza. Non c’è solo il legame di coppia, anche se l’amore è il più acuto dei sentimenti, stringente al punto che chi lo sperimenta sente di non poter vivere senza l’altro e ha paura.
Quale sentimento prevale oggi?
Proprio questo: la paura.
Quanto incide nelle relazioni?
Moltissimo. E’ il nemico, il rivale, ma può non aver volto e rivolgersi verso un anonimo. Si può aver paura uscendo di casa, che non capiti qualcosa che possa farci del male. Per vincere la paura serve il legame.
Perché allora l’uomo lo fugge?
Perché di fronte alla paura si attivano reazioni umane, meccanismi di difesa.
Cosa succede nell’uomo che avverte paura?
Avverte l’assenza della presenza. Non serve che qualcuno gli spieghi che cos’è la paura. Ha bisogno della presenza, di una stretta di mano, un abbraccio. Di sentirsi dire: “So che hai paura, ma sono con te”. Di essere rassicurato.
Tra tutte le paure quale è la più temibile, oggi?
Lo spettro più temibile è la solitudine, il deserto in mezzo alla gente. Gli altri ti passano accanto ma non ti vedono, è come se tu fossi trasparente. Un deserto fatto di persone che non “sentono”. Tra i giovani c’è il bisogno di stabilire un’unione, una cordata, ma l’altro non c’è e manca anche la corda.
Le paure hanno età ?
In un certo senso sì. Il genitore che vuole proiettarsi nel figlio, teme che gli scappi perchè lo vede il ‘continuatore’ della propria storia.
Sono sempre una dinamica personale?
No, anche collettiva. Le società possono provare paura. C’è una bella parola che fa parte della vostra storia: cooperazione, che fu cruciale per risolvere la paura della povertà . E’ stata la fortuna economica del Trentino perché ha costruito ‘legami’.
Cosa significa progettare oggi?
Non di certo raggiungere traguardi senza uno sforzo e velocemente con la bacchetta magica. Occorre porsi degli obiettivi con una progettualità che a sua volta richiama il desiderio.
E ancora possibile desiderare oggi?
Sì certo, perché è la capacità di ciascuno di immaginarsi diverso ‘domani’. Il desiderio si traduce nella capacità immaginativa di dire “oggi sono così”, ma domani, attraverso un progetto, potrei essere completamente diverso e diventare come spero. Il desiderio appartiene al singolo, ciascuno lo ritaglia su di sé con la propria immaginazione.
Secondo lei Professore come si sentono i giovani oggi?
Male, brutti, inadeguati. Il mio sogno? Che tutti i giovani imparino a sognare. Questi adolescenti, che io trovo bellissimi, non si piacciono e hanno paura di non piacere. Ebbene il desiderio li può aiutare a credere che cambierà .
C’è chi afferma che i giovani non sanno sognare…
Purtroppo sono stati espropriati del desiderio come proiezione singolare e soggettiva. Come sostituto è stato dato loro il desiderio spot: massificato, immediato, istantaneo, lo slogan pubblicitario che attiva l’impellenza concreta e immediata. “Esci e compra altrimenti sei un fallito”.
Colpa della tv allora..
Non solo, anche dei media. Ma della tv innanzitutto. Mi obiettano: “Professore parla male della tv, però lei ci va”. Le confesso che ho il terrore della televisione, ci vado molto poco rispetto alle offerte che mi fanno. Accetto solo se riconosco l’importanza del comunicare, ma devo essere l’unico ospite. Non mi piace litigare o parlare a vanvera, devo essere messo nella condizione di esprimere i miei pensieri e di farlo nel modo il più completo possibile. E in tv fare la storia chiede tempo: è il dramma dell’educazione.
Che futuro possono immaginare i giovani di oggi?
Direi che a loro manca il senso del futuro (molti di loro intravvedono solo il sabato sera come futuro, cioè un orizzonte immediato) perchè omettiamo di trasmettere il passato. Se non comunichiamo le radici, che cosa resta? Penseranno che il mondo cominci e finisca con loro. Talvolta si tace sulla storia per paura: un padre non dice che il suo era un’analfabeta. Abbiamo smesso di raccontare la nostra storia perché non era moderna. Ma quel nonno era uomo che faticava da mattina a sera. La storia non si compra e non si inventa. È lì che si deve investire.
Lei sostiene che i ragazzi vanno educati a risparmiare vita. In che senso?
L’educazione al risparmio non significa solo risparmiare denaro. Oggi si risparmia sul tempo, sugli affetti e infatti si buttano, non si rispettano a sufficienza, spesso sono trattati meno di oggetti banali. Si può risparmiare persino nella vita umana. Quanti ragazzi che sprecano il valore della loro vita nella droga o in una corsa a folle velocità fino a morire prima di aver conosciuto il significato dell’esistere. Parlarne significa toccare molti punti delle strategie del vivere.
Secondo lei anche l’economia dovrebbe avere sentimenti. Cosa intende?
Io ricordo un’epoca non lontanissima di piani quinquennali, oggi si fanno i bilanci annuali. Per mettere in gioco il legame e i sentimenti che l’attivano, bisogna volare alto, educare. Proiettare i sentimenti nel lungo periodo…
E quindi come dovrebbe essere il vero bilancio di una ditta?
Sui sentimenti. Chiedersi sempre che relazione si è instaurata con il singolo. La progettualità chiama in gioco i sentimenti.
In economia quale verbo ama di più?
Cooperare è parola bella e antica, di grandissima attualità e spesso sottovalutata. Etimologicamente significa “operare con”, cioè “insieme” e presuppone la presenza dell’altro. Nella cooperazione nessuno è solo o può fare tutto da sé. A volte in famiglia invece si tende a far prevalere la logica dell’aiuto. Ed è a volte negativo: perché non prenda una brutta strada, si aiuta un figlio con la disciplina. Padri e madri impongono imperativi anziché dire “facciamolo insieme” che implica invece un’azione comune, un coinvolgimento.
Corona Perer – http://www.giornalesentire.it
ultima revisione pagina: ottobre 2016
– See more at: http://www.giornalesentire.it/article/vittorino-andreoli-l-uomo-di-superficie.html#sthash.dIukYCxY.dpuf