VENEZIA ovvero il desiderio di essere felici
pubblicato da: Mirna - 31 Maggio, 2015 @ 5:02 pmSapevo che una giornata a Venezia avrebbe rivoltato in positivo il tran tran quotidiano. In più si stava avvicinando il fatidico compleanno. Che cosa meglio di una giornata di sole nella città più poetica del mondo con la cara  “vecchia”  amica di avventure?
Appena esci ti accoglie il Canal Grande, la Chiesa della Salute e il brulichio vivace di un’umanità sorella che vuole appagare gli occhi, nutrirsi di bellezza, insomma essere felice.
Naturalmente la cara amica di Aquileia  che mi fa divertire con il suo particolare modo di approcciare la realtà e il suo ineguagliabile sense of humour mi aspettava al binario sbagliato.
Ma già sapevo che sicuramente qualcosa del genere sarebbe successo…e così è stato. Giuliana l’habitué di Venezia  doveva farci arrivare al Palazzo Ducale a mezzogiorno, ma chissà perchè – forse perchè parlava e raccontava, forse perchè si fermava davanti a vetrine e a cancelli privati, forse perchè è svagata e vive con una sua disorganizzata organizzazione abbiamo fatto giri concentrici a non finire salendo e scendendo ponti e ponticelli.
“La vada sul ponte, poi a destra, poi a sinistra fino a quello con le guglie”. Il ponte con le guglie lo abbiamo salito e sceso almeno sette volte. Giuliana è certa che i gondolieri ai quali abbiamo chiesto informazioni ci abbiano fatto sbagliare  di proposito.
Però alfine siamo giunte all’ultimo momento  – vista la prenotazione – alla mostra del doganiere Henry Rousseau. Ci tuffiamo nelle sue opere colme di “candore arcaico”, ci beiamo del verde delle sue jungle. Siamo felici perchè c’è poca gente così possiamo parlare , ammirare, confrontare le sue opere con le altre esposte, come alcune di Carrà , Seurat, Signac e persino Frida Kahlo. Qui siamo in posa davanti al suo Matrimonio ricalcato per i turisti.
Leggiamo la poesia che Apollinaire gli ha dedicato poi, un po’ frastornate , usciamo alla ricerca del mitico ristorante GAM GAM di cui mi ha parlato Daria. Ancora non sapevamo l’esatto nome per cui chiedavamo a destra e a manca di “Gnam, Gnam!”.
Un certo Emanuele nel ghetto ebraico ce lo indica, anzi ci raccomanda al rabbino Rami.
Riusciamo a trovarlo e felici ci sediamo in un ambiente accogliente e tipico come desideravamo.
Ci salutano con shalom, naturalmente. Mangiamo il loro antipasto con falafel e altre polpettine, salsine varie, cous cous alle verdure, ridendo e  facendoci fare foto dai pazienti ragazzi .
Finisco con una pregiata grappa ebraica.
E intorno a noi c’è Venezia, colorata di oro e brulicante di voci, c’è  San Marco che ti strema con la sua bellezza, i campielli talvolta silenziosi e magici; un’opera d’arte in cui puoi camminare, fermarti, bere un caffè, salire l’ultimo ponte moderno quello che i veneziani non amano, il Calatrava. Ma che si sta inserendo con il suo vetro al colore dellle cupole.
Un’ubriacatura di sensazioni vitali, di energia, di desiderio di essere eterni, di felicità .