LA LUNA E I FALO', e il paesaggio delle Langhe
pubblicato da: admin - 29 Marzo, 2010 @ 6:59 pmDesiderio di viaggiare, di uscire all’aperto in queste prime giornate di Primavera. Desiderio di campagna. Vorrei rivedere le Langhe piemontesi. Una Pasqua di alcuni anni fa feci un viaggio con mio marito alla ricerca dei luoghi di Cesare Pavese, reduce com’ero da un’intensa lettura di “La luna e i falò“. Nella mia vita ho sempre ricercato i luoghi dei libri e degli scrittori. In primis l’Inghilterra, Londra stessa con il quartiere di Bloomsbury di Virginia Woolf, le strade vecchie di Charles Dickens, Irlanda:  Dublino e Oscar Wilde, Sligo e Yeats; in Germania cercavo la casa di Musil, di Lou Salomè. Anche in Italia ho sempre “trascinato” mio marito, che condivideva  con piacere, nei luoghi a me cari.  Recanati con  la siepe, la piazzetta  e la torre antica, Barga e Castelvecchio con la casa di Pascoli, e così via. E non ho ancora finito (spero) . Vorrei vedere la casa delle Brontè, e quella di Emily Dickinson mel Massachuset.
Anche voi avete seguito percorsi letterari? Quali?
Quando mi trovai a Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo, e vidi quello che aveva visto Cesare Pavese, quasi mi sentii mancare, l’emozione fu fortissima. Volli andare anche a Canelli, meno male che mio marito mi aiutava sempre a “riprendermi” da queste pseudo sindromi di Stendhal con lauti pranzetti in ristoranti deliziosi.
“La luna e i falò” racconta di un ritorno alla terra d’origine. Il protagonista, Anguilla,  vi arriva dall’America dove ha fatto fortuna, ma vuole ritrovare i luoghi mitici dell’infanzia quando, seppur poverissimo, aveva assaporato la vita interamente. Risente “… l’odore, l’odore della casa, della riva, di mele marce, d’erba secca e di rosmarino.” Ritornano sempre gli stessi sentimenti nostalgici  di ognuno di noi. Il ricordo, il ritorno, il mito di un’età dell’oro.
Anguilla ora però si sente sdoppiato. Non è più lo scalzo ragazzino di allora, l’ex bracciante che lavorava sotto padrone, ora ha fatto fortuna, è un cittadino. Ma proprio in questo dualismo campagna-città , passato e presente, il protagonista si perde. Si sente sdoppiato e non interamente se stesso.  “Era strano come tutto fosse cambiato eppure uguale…”.
Vorrebbe vedere ancorra il mondo come lo sta vedendo il piccolo Cinto che lo accompagna tra i filari delle vigne e risponde alle sue domande sulle persone che ora non ci sono più. Anche Cinto come Anguilla bambino ha l’abitudine di chiudere gli occhi per vedere solo le cose che vuole…
“La luna e i falò” si inserisce nel filone del neo-realismo. Il linguaggio di Pavese è essenziale, si avvicina al parlato nelle sue frasi brevi e chiare. E’ il suo ultimo romanzo nel quale, secondo molti critici, emerge il primo sintomo del suo disadattamento, della sua incapacità di vivere, che lo porterà più tardi al suicidio, in un albergo di  Torino nell’agosto 1950. La sua ultima frase nel Diario “Il Mestiere di vivere” enuncia: “Non parole. Un gesto. Non scriverò più”. L’arte non è bastata a Pavese per  difendersi dalla violenza della vita.
Ho letto “La luna e i falò” ormai tanto tempo fa e ho amato Pavese per il suo linguaggio scarno ed evocativo, ma solo recentemente sono stata nelle Langhe e a Canelli dove ho potuto rivivere e forse capire maggiormente la sua malinconia. Sono luoghi bellissimi e sono d’accordo sull’ottimo cibo che si può trovare in quei luoghi.
Pavese diceva «Ho imparato a scrivere, non a vivere» , ma la sua scrittura ha aiutato a vivere molti di noi.
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