RAGAZZA NERA RAGAZZA BIANCA di Joyce Carol Oares

pubblicato da: Mirna - 3 Aprile, 2014 @ 7:12 am

Perchè mi piace tanto Joyce Carol Oates? Perchè ogni cosa che racconta comprende la gamma completa dei sentimenti della vita di una persona, non solo  i suoi personali, ma quelli di un’intera società che crede di aver analizzato razionalmente il proprio percorso, il proprio miglioramento mascherati da un effimero politacally correct . La Oates con quel suo particolare narrare non ci fa sfuggire nulla e ci mette sotto gli occhi il nascosto e l’irrisolto.

In questo suo magistrale romanzo del 2006, edito solo ora in Italia da Mondadori, la voce più importante della letteratura americana ci avvince e ci “spiazza” volutamente per farci riflettere.

E’ un romanzo sul razzismo? O sui sempre tortuosi rapporti familiari e di formazione personale? Tutto. Perchè nulla è semplice nella vita: nulla è bianco o nero.

Siamo nel 1975 in un college progressista dove la filosofia è proprio l’integrazione razziale. College fondato a suo tempo dall’antenato di Genna Meade, la dicottenne protagonista narrante. Genna è figlia di una coppia di ex hippy, cresciuta in una sorta di trascuratezza, mascherata da libertà, infarcita soprattutto dal padre strabordante  di alti ideali sui diritti civili.

In fondo Genna si è sempre sentita sola e spaventata dai genitori distanti e tutto ciò che ha assorbito è essere premurosa con i più deboli, con gli emarginati, soprattutto  con i neri.

E’ un caso che Jenna sia attratta immediatamente dalla sua compagna di stanza, Minette Swift, una ragazzza nera figlia di un pastore protestante?

La bravura della scrittrice per poter “scendere” nell’intimo del nostro vero sentire è presentarci una Minette Swift scostante, antipatica, bruttina che non cede alla richieste di Genna.

Che cosa vede Jenna in Minette? Senz’altro  vorrebbe assorbire un po’ della sua famiglia attenta e unita inotorno a lei, offrire  una legittimazione al suo non essere “razzista”  al padre odiato-amato  .

Ma in questa sua insistenza nel volere conoscere pienamente una persona non c’è forse una forma di appropriazione e di “sfruttamento”?

La fragile Jenna, brava a scuola, figlia di genitori non “materni” invidia la sicurezza di Minette , la vuole fare sua.

Ma Minette non è sicura, vive male il suo inserimento  alla Schuyler, questo  prestigioso college di arti lberali, modello di integrazione.  Perchè si sente vittima di molestie razziali…scritte offensive  sulla porta, dispetti verso i suoi oggetti e Jenna non riesce e non può aiutarla, osservatrice semi-passiva del suo malessere. Perchè Minette sa che essere neri sarà sempre percepito come stato di inferiorirà e aggredisce, si isola, per non essere ferita.

Il padre di Jenna aveva scritto  negli anni Sessanta ” ci sono delle distorsioni dovute alla coscienza di pelle: di come ciò che vediamo sia ampiamente determinato  dalle strutture linguistiche all’interno delle quali nasciamo.”

L’anno scolastico alla Schuyler è per entrambe un anno importante e terribile: per Minette una sconfitta totale, per Jenna un periodo che la segnerà profondamente.Ne scriverà la storia per il suo senso di colpa verso Minette e  per far emergere dall’ombra  quella figura paterna di cui, si capisce, non può fare a meno.

Che romanzo!

Scrive Massimiliano Parente:  “È questa la delicata e spietata grandezza di “Ragazza bianca ragazza nera”: come lettori siamo colpevoli anche noi, e ci troviamo di punto in bianco all’interno di una rappresentazione inedita dell’osceno: il nostro stesso sentimento. Un osceno dalla Oates ribaltato rispetto alla definizione classica di invisibilità, di essere appunto fuori dalla scena e fuori dalla pornografia (che rappresenta, al contrario, l’eccesso del visibile). Un osceno che diventa «ciò che, nell’istante in cui lo vedi, non puoi non averlo visto. E continuerai a vederlo. E continuerai a vederlo anche se ti cavano gli occhi».

Un magnifico romanzo antirazzista e per niente retorico che, volendo, sarebbe pure la scusa buona per un meritato Nobel. Meditate, svedesi, meditate.”

 

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1 commento
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  1. Mi incuriosisce questa storia. Alcuni anni fa ero a SUNY Binghamton per la mia ricerca di tesi e vivevo in appartamento con tre ragazze. Una di queste, Sandy, era afroamericana. Mi ricordo che appena arrivata mi aveva preso in simpatia e mi aveva aiutato molto per tutte le questioni pratiche legate all’inserimento in una nuova realta’. Eravamo diventate amiche e facevamo tutto insieme. Nel momento in cui in un certo senso mi sono “impadronita” dell’ambiente – e forse uno potrebbe anche pensare che per un bianco e’ ancora piu’ facile – lei si e’ allontanata, e all’epoca questo fatto mi aveva lasciato sorpresa e triste. Solo ora capisco che per lei era facile “seguirmi” nella mia fase di insicurezza dove lei si sentiva ‘avantaggiata” mentre poi ritornare nello stato che questo romanzo sembra sottolineare: e cioe’ che la “coscienza di pelle” e’ un dato di fatto, difficilmente modificabile anche dai piu’ alti ideali di uguaglianza. Forse solo con le generazioni e il tempo… io ho fiducia che ce la si possa fare. Ma e’ evidente che gli errori di generazioni non si possano cancellare cosi’ facilmente. Non dimentichiamoci che la schiavitu’ americana non e’ stata abolita da tanto.