mercoledì , 13 Novembre 2024

LA SCIMMIA NUDA
al Museo di Scienze la storia naturale dell’umanità

Ultime ore di preparativi e ritocchi al Museo Tridentino di Scienze Naturali per la grande mostra “La Scimmia Nuda“: storia naturale dell’umanità, che si preannuncia come l’evento espositivo di maggior rilievo di questa stagione primaverile a Trento.

L’inaugurazione prenderà avvio alle ore 17 di questo pomeriggio, giovedì 5 aprile 2007 nell’aula magna del museo, dove alcuni membri illustri del comitato scientifico della mostra approfondiranno in brevi interventi alcuni dei più intriganti temi affrontati nella mostra: Andrea Camperio Ciani parlerà dell’organizzazione sociale e nuziale umana fra monogamia e poliginia, Pier Francesco Ferrari, invece – illustrerà la cognizione sociale nei primati tra etologia e neuroscienze. Seguirà l’intervento di Giacomo Giacobini sulle scimmie a forma d’uomo: la storia di una scoperta, mentre Giorgio Manzi parlerà dell’intricato “cespuglioâ€? dell’evoluzione umana.

Alle ore 18 avrà inizio la parte ufficiale del programma di inagurazione con i saluti e le presentazioni da parte delle Autorità, del Presidente e del Direttore del Museo e della curatrice Claudia Lauro a cui seguirà la visita guidata alla mostra.

In occasione della giornata inaugurale la mostra rimarrà aperta dalle 17 alle 23.

Per maggiori informazioni visita il sito web della mostra

PROGRAMMA
ore 17: conferenze-spot
ore 18: presentazione ufficiale mostra
mostra aperta dalle 17 alle 23

CONFERENZE SPOT:

L’organizzazione sociale e nuziale umana fra monogamia e poliginia
Andrea Camperio Ciani: professore associato di etologia e psicobiologia all’Università di Padova

La nostra famiglia non e’ un valore antropologico ed universale. Le famiglie umane sono molto diverse fra loro, monogamiche, poliginiche o poliandriche.La monogamia non e’ che una delle soluzioni adottate nella nostra specie, e solo in alcune condizioni ambientali e sociali particolari , che vengono brevemente definite ed illustrate in questo intevento, per concludere che l’unico vero tratto comune che ci unisce tutti e’ il Deme (ovvero il villaggio, la comunità) che non manca in nessuna cultura della nostra specie.

La cognizione sociale nei primati tra etologia e neuroscienze.
Pier Francesco Ferrari: biologo ed etologo docente al Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale dell’Università di Parma

Come facciamo a riconoscere il comportamento dei nostri simili, le loro intenzioni e le loro emozioni? Quali sono i meccanismi cerebrali coinvolti? Queste domande sono state al centro di alcune ricerche condotte agli inizi degli anni novanta da un gruppo di scienziati dell’Università di Parma guidati dal neurofisiologo Giacomo Rizzolatti, che hanno messo in evidenza che la corteccia cerebrale motoria della scimmia possiede delle caratteristiche molto peculiari. Quest’area del cervello infatti non serve solo a controllare i singoli muscoli per l’esecuzione di movimenti. Alcuni dei suoi neuroni si attivano mentre la scimmia esegue dei movimenti motori finalizzati, come ad esempio l’afferrare un oggetto o mordere una nocciolina. La scoperta più sorprendente però fu quella legata a una particolare classe di neuroni, denominati “neuroni specchio� che possedevano proprietà sia motorie che visive. Questi neuroni, cioè, si attivano sia quando la scimmia esegue azioni dirette ad un oggetto, sia quando osserva un’azione simile eseguita da un altro individuo.

Un sistema dei neuroni specchio, scoperto nella corteccia cerebrale del macaco, è stato successivamente trovato anche nell’uomo.

Ricerche più recenti hanno dimostrato la presenza di neuroni specchio nella corteccia parietale della scimmia che si attivano in maniera diversa durante l’atto di afferrare un oggetto (o di un pezzo di cibo) a seconda dello scopo finale dell’azione (ad esempio mangiare il cibo o inserirlo in un contenitore). Alcuni neuroni specchio, ad esempio, si attivavano quando la scimmia osservava lo sperimentatore prendere del cibo per portarlo alla bocca e non quando lo stesso atto motorio di afferramento aveva lo scopo di inserire il cibo in un contenitore. Questi neuroni cioè sono in grado di codificare non solo il ‘che cosa’ di un’azione (in questo caso l’afferrare), ma anche il ‘perché’ (e quindi l’intenzione sottostante).

Le scimmie a forma d’uomo. Storia di una scoperta.
Giacomo Giacobini: ordinario di anatomia umana all’ Università di Torino

Con la pubblicazione dell’origine delle specie di Charles Darwin nel 1859, inizia a svilupparsi una vivace polemica che troverà le sue motivazioni principali nel coinvolgimento dell’uomo nei processi evolutivi. Le affinità morfologiche rendono inevitabile l’avvicinamento della nostra specie alle scimmie antropomorfe, rinnovando un’ostilità che gia si era manifestata nel 700 quando Carlo Linneo aveva riunito uomo e scimmia in uno stesso ordine, quello dei primati. L’evoluzionismo semplicemente aveva trasformato un problema di somiglianza in un problema di parentela .

ai tempi di Darwin le scimmie antropomorfe erano oramai relativamente note, ma la loro conoscenza era stata tardiva e a lungo basata su racconti di viaggiatori. Durante il 600 e il 700 erano giunte in Europa le spoglie dia alcuni esemplari di scimpanzé ed orango, oltre a qualche individuo vivente.

All’inizio dell’800 la conoscenza di queste specie è ormai piuttosto buona, permettendo la pubblicazione di raffigurazioni sempre più affidabili. Solo nel 1847 però sarà pubblicata la prima descrizione scientifica del gorilla, la cui esistenza era da tempo supposta in base a osservazioni non controllate.

L’intricato “cespuglioâ€? dell’evoluzione umana
Giorgio Manzi: Biologio, morphologpo e paleoanthropologist – Associate Professor (BIO/08 – Ph. Anthropology) at the University of Rome ‘La Sapienza’ (Faculty of Natural Sciences) & Director of the Museum of Anthropology ‘G. Sergi’ (Univ. ‘La Sapienza’, Rome)

Fino a una trentina di anni fa, le cose sembravano piuttosto semplici. Il quadro interpretativo accettato dalla maggior parte dei paleoantropologi prevedeva che, per tutto l’arco dell’evoluzione umana e in ciascun intervallo cronologico, fosse stata presente una sola specie di ominidi. In altre parole, si guardava a un’unica sequenza evolutiva lungo la quale si sarebbero susseguite alcune specie, poche in verità, attribuite ai generi Australopithecus e Homo. Le scoperte degli ultimi decenni si sono dimostrate incompatibili con il modello lineare e hanno aperto la strada ad una visione differente, incentrata su un’idea di diversità bio-ecologica e di complessità evolutiva.

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