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IL CHASSIDISMO
corrente mistico-popolare nata nella��Europa Orientale

Mercoledì 7 giugno 2006, alle 17,30, a Trento, nella Sala dell’Aurora di Palazzo Trentini (via Manci 27), il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale organizza l’ottava conferenza del ciclo "Un mondo scomparso: l’ebraismo dell’Europa centro-orientale". Massimo Giuliani (Università di Trento) interviene su "Il Chassidismo".
Introduce Massimo Libardi.
 
Il Chassidismo è una corrente mistico-popolare nata nell’Europa orientale del XVIII secolo (precisamente nella regione della Podolia, attualmente in Ucraina e anticamente parte della Polonia) per opera di Isra’el Ben Eli‘ezer (1700 ca-1760) noto col titolo di Ba‘al Shem, o Ba‘al Shem Tov (Signore del Nome Buono). In breve tempo, Ba‘al Shem Tov raccolse proseliti nelle regioni confinanti della Volinia e dell’Ucraina, fino alla Galizia, per poi propagarsi al resto della Polonia e poco più tardi alla Bielorussia, alla Lituania, alla Romania e all Ungheria. Le politiche antiebraiche dell’epoca successiva portarono all’emigrazione verso occidente degli ebrei russi e dell’Europa orientale, favorendo in tal modo la diffusione del Chassidismo. Dall’America, dove affondò le sue radici, dopo la distruzione dell’ebraismo europeo si diffuse poi nel moderno stato di Israele. Il Chassidismo viene ritenuto il vertice dell’esperienza mistica ebraica. Si sviluppò soprattutto in quelle zone dell’Europa orientale dove l’attesa messianica e la sua conseguente redenzione del mondo erano più desiderate. L’interpretazione della Qabbalàh si fece più intimista e meno cosmica, vennero riprese alcune intuizioni di Luria sull’esilio e sulla Redenzione, ma vissute ora in chiave personale e familiare. Il Chassidismo sostituì al disegno cosmico fino a quel momento insito nell’interpretazione storica ebraica, una grande valorizzazione della vita e della gioia. Al tradizionale approccio intellettuale rigoroso e severo preferì lo slancio mistico e l’intuizione, mentre nel microcosmo delle shtetlach (i villaggi) assunse sempre maggior rispetto la figura del tzaddìq ("giusto"). Questo individuo era apprezzato per la sua santità, per la sua bontà e per il rapporto privilegiato che era capace di instaurare con il divino. Non era più la sua sapienza a renderlo venerabile, anzi, con la sua personalità virtuosa trasmetteva, incarnandoli, i valori dell’ebraismo. Ciò permise la diffusione a vaste masse di idee intellettualmente sofisticate e prima inaccessibili.

Massimo Giuliani, docente di Studi ebraici presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, ha conseguito il suo dottorato (Ph.D.) in Israele, all’Università ebraica di Gerusalemme, dove ha vissuto per quattro anni. Ha insegnato negli Stati Uniti ed è autore di diverse pubblicazioni tra cui Il pensiero ebraico contemporaneo (Morcelliana, 2003) e Theological Implications of the Holocaust (Peter Lang, 2002). Collabora a diversi giornali, tra cui L’Adige sul quale ha tenuto per due anni la rubrica settimanale "Le tende di Abramo" dedicata al dialogo interreligioso tra i tre monoteismi di origine biblica.

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