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GLI EBREI DELL’EST AL CINEMA

Centro Studi sull'Europa OrientaleMercoledì 28 giugno 2006, alle 17.30, a Trento, nella “Sala Rosa” della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige (Piazza Dante), il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale organizza l’undicesima conferenza del ciclo "Un mondo scomparso: l’ebraismo dell’Europa centro-orientale". Gianluigi Bozza interviene su "Gli ebrei dell’est nel cinema". Introduce Massimo Libardi.
Nel corso dell’incontro saranno proietatti spezzoni di film.
 
La componente ebraica ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita dell’industria del cinema, in Austria prima e poi, dopo l’avvento del nazismo, a Hollywood.

Ma nonostante questo la figura dell’ebreo al cinema è stata legata a stereotipi ricorrenti. Per quanto riguarda lo stereotipo antisemita il riferimento d’obbligo è al film Süss l’ebreo diretto nel 1940 da Veit Harlan, che propone un ritratto a tinte forti dell’ebreo corrotto e perfido che corrispondeva pienamente all’immaginario razzista tedesco, Himmler ne rese la visione obbligatoria a tutte le truppe e alle SS. Veniva proiettato alle popolazioni dell’Europa erientale quando doveva partire un convoglio per i campi di concentramento o di sterminio. Il regista fu processato due volte per crimini contro l’umanità, ma assolto per insufficienza di prove.

Le persecuzioni e i pogrom culminati nella Shoah hanno portato a un ribaltamento della figura dell’ebreo. E il cinema, da parte sua, ha tentato di esorcizzare secoli di pregiudizi commemorando la Shoah in numerose pellicole. Peccato che si sia passati da uno stereotipo a un altro.

Nella maggior parte dei film girati dal dopoguerra in poi si allunga sull’ebreo l’ombra dello sterminio di massa. Ne deriva una distorsione ideologica che spesso impedisce di mostrarlo nella sua autenticità. Ogni suo comportamento (e di conseguenza ogni sviluppo narrativo e approfondimento psicologico) è segnato dalla Shoah che, paradossalmente, si trasforma in un nuovo pregiudizio: l’ebreo è il solo in tutta la storia dell’umanità ad averla subita e in ogni sua rappresentazione si porta appresso questa terribile discriminazione che lo bolla di una nuova diversità, quella della vittima designata e sacrificale, mite e inerme.

Tra i film che evitano questi stereotipi va ricordato L’uomo del banco dei pegni (1965) di Sidney Lumet e soprattutto due film recenti, Il pianista (2002) di Roman Polanski, dove la “diversità” ebraica viene narrata senza cadere nel manierismo e Train de vie (1998) di Radu Mihaileanu. Il regista ha scritto di aver voluto “far ridere parlando della più terribile tragedia del secolo e tentato di dare un seguito alla grande scuola dell’umorismo yiddish”, ma anche di “rievocare la civiltà yiddish delle shtetlach che è praticamente stata spazzata via”.

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